Gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale, sicché ad essi non possono applicarsi né la disciplina dell’autotutela dettata dall’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 né, più in generale, le disposizioni previste dalla stessa legge per gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio.
La pubblica amministrazione, nel corso di tale rapporto, può pertanto sempre
rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo di tale
contributo, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone
a questi la differenza nell’ordinario termine di prescrizione decennale (art.
2946 c.c.) decorrente dal rilascio del titolo edilizio, senza incorrere in
alcuna decadenza, con l’ovvia esclusione della possibilità di applicare
retroattivamente coefficienti successivamente introdotti, non vigenti al
momento in cui il titolo fu rilasciato.
Tale conclusione è coerente con quanto affermato dalla Sezione nel caso
opposto, in cui la determinazione del contributo sia coeva al rilascio del
permesso di costruire e conseguenziale alla qualificazione dell’intervento
edilizio impressa direttamente dal permesso medesimo, provvedimento certamente
autoritativo e come tale non disapplicabile.
Fonte: www.giustizia-amministrativa.it