Di
Maria Enrica Rubino
Dopo il referendum confermativo del 4 dicembre,
rilanciare la riforma organica dell’ordinamento delle Autonomie locali. È l’idea
presentata da Legautonomie, che punta ad una razionalizzazione del sistema
degli Enti locali, ribadendo anche la necessità di una modernizzazione dello
stesso alla luce dei cambiamenti degli ultimi anni.
Matteo Ricci, Sindaco di Pesaro e responsabile Pd
agli Enti locali, spiega a Orientamenti
Amministrativi il suo punto di vista sul tema.
Sindaco,
perché riformare l’ordinamento delle Autonomie locali?
I
temi sono molteplici. In primis ci sono le Province, che sono rimaste in Costituzione
ma, oramai da diversi anni, sono un ente svuotato finanziariamente. È
necessario mettere un punto su ciò che rimane delle Province: ritengo che
debbano mantenere lo status di ente di secondo livello, con elezione indiretta,
quindi un luogo di collaborazione tra sindaci. Le Province dovrebbero esser
messe innanzitutto nella condizione di poter gestire le loro principali
funzioni: le strade provinciali e le scuole superiori.
Quindi
come si dovrebbe intervenire sulle Province?
Il
problema non è più quello di modificare cosa devono essere le Province, ma di
affidargli le risorse necessarie, a maggior ragione oggi che sono rimaste in Costituzione.
Parallelamente a questo, abbiamo bisogno di rafforzare i Comuni attraverso il
riordino, mettendoli insieme non più come prevede la legge, ovvero per criterio
demografico, ma per bacino omogeneo.
Ci
spieghi meglio di cosa si tratta..
Oggi
la legge prevede che i comuni sotto i
cinque mila abitanti debbano mettere insieme nove funzioni, ma il rischio è che
si mettano insieme cose che tra loro non c’entrano nulla. Diversamente,
all’interno di ogni provincia ci sono dei naturali bacini omogenei, per motivi economici,
morfologici, sociologici, che devono diventare Unioni di Comuni, quindi luogo
costante di collaborazione tra Comuni. Questi dovranno mettere insieme obbligatoriamente
almeno tre funzioni e poi, in base a queste, possono avere ulteriori incentivi.
Un meccanismo incentivante che spinga a metterne insieme sempre di più.
Questa
proposta riguarda solo i piccoli Comuni?
No,
la proposta non riguarda solo i piccoli Comuni, ma tutti gli 8 mila Comuni
italiani e diventa un punto di partenza per una nuova governance del Paese. Ad
oggi posso affermare che siamo in una fase positiva perché da più di un anno ci
confrontiamo con il Governo e il Parlamento e ci aspettiamo che nei prossimi
mesi venga fuori un disegno di legge che vada in questa direzione.
E
per quel che riguarda le fusioni?
Relativamente
alle fusioni, rimarrebbero esattamente come sono previste oggi dalla legge:
volontarie con il parere in consiglio comunale dei cittadini attraverso un
referendum e, anche in questo caso, chiediamo ulteriori incentivi e semplificazioni.
Però se si agevolassero i Comuni a collaborare in ambito omogeneo in maniera
stabile, sarebbe più semplice realizzare le fusioni perché verrebbero
automaticamente negli anni.
Quindi
un meccanismo che lascerebbe una certa autonomia ai territori?
Tale
meccanismo lascerebbe senz’altro una totale autonomia ai territori, ma
obbligherebbe a costruire una nuova governance del Paese.
Ma
come si colloca l’idea di riforma nell’attuale contesto normativo, alla luce
anche della Legge 56/2014?
Stiamo
cercando di aggiustare la Legge Delrio per far sì che la riforma sia completa e
fattibile, che crei efficacia ed efficienza, diversamente il rischio sarebbe di
rimanere in una fase di transizione con tutti i problemi che ciò comporta.
Uno
dei temi al centro della discussione lanciata da Legautonomie riguarda lo
status degli amministratori locali, con riferimento alle “indennità che siano
proporzionate al carico di lavoro e di responsabilità”. Cosa ne pensa?
Gli
amministratori sono sempre in prima linea, pertanto il rapporto tra ciò che
fanno e ciò che percepiscono è sicuramente molto più equilibrato di altre
cariche. Io non credo che noi siamo in condizioni realisticamente di aumentare
le indennità degli amministratori, penso che gli altri debbano prendere meno:
senatori, consiglieri regionali. Nonostante il referendum di dicembre non sia
passato e, quindi, abbiamo perso una grande occasione. Ci sono, poi, alcune
figure come i sindaci dei piccoli comuni che sono anche presidenti di
provincia, per i quali sarebbe opportuno valutare un aggiustamento delle
indennità. Non si può chiedere a un sindaco di un piccolo comune di fare anche
il presidente di provincia per seicento o settecento euro al mese, almeno
dovrebbe essere prevista un’indennità pari a quella percepita dal sindaco del
capoluogo.
E
per quel che riguarda i rapporti tra Stato e Regioni?
Credo
che sia opportuno valutare un meccanismo di razionalizzazione delle Regioni, in
particolar modo di quelle più piccole. Io vengo da una regione di un milione e
mezzo di abitanti, le Marche, confinante con l’Umbria, che ne ha 900 mila e
credo che almeno queste due regioni dovrebbero mettersi insieme. L’obiettivo
non è il risparmio, bensì un discorso legato alla competitività. Inoltre, se il
compito delle regioni è quello di fare le leggi e la pianificazione, come io
ritengo sia opportuno, le regioni più piccole non avrebbero un vero e proprio
ruolo.