22 marzo 2017

Intervista con Matteo Ricci (Pd): la mia idea di nuova governance degli Enti locali

Di Maria Enrica Rubino

Dopo il referendum confermativo del 4 dicembre, rilanciare la riforma organica dell’ordinamento delle Autonomie locali. È l’idea presentata da Legautonomie, che punta ad una razionalizzazione del sistema degli Enti locali, ribadendo anche la necessità di una modernizzazione dello stesso alla luce dei cambiamenti degli ultimi anni.
Matteo Ricci, Sindaco di Pesaro e responsabile Pd agli Enti locali, spiega a Orientamenti Amministrativi il suo punto di vista sul tema.

Sindaco, perché riformare l’ordinamento delle Autonomie locali?
I temi sono molteplici. In primis ci sono le Province, che sono rimaste in Costituzione ma, oramai da diversi anni, sono un ente svuotato finanziariamente. È necessario mettere un punto su ciò che rimane delle Province: ritengo che debbano mantenere lo status di ente di secondo livello, con elezione indiretta, quindi un luogo di collaborazione tra sindaci. Le Province dovrebbero esser messe innanzitutto nella condizione di poter gestire le loro principali funzioni: le strade provinciali e le scuole superiori.

Quindi come si dovrebbe intervenire sulle Province?
Il problema non è più quello di modificare cosa devono essere le Province, ma di affidargli le risorse necessarie, a maggior ragione oggi che sono rimaste in Costituzione. Parallelamente a questo, abbiamo bisogno di rafforzare i Comuni attraverso il riordino, mettendoli insieme non più come prevede la legge, ovvero per criterio demografico, ma per bacino omogeneo.

Ci spieghi meglio di cosa si tratta..
Oggi la legge  prevede che i comuni sotto i cinque mila abitanti debbano mettere insieme nove funzioni, ma il rischio è che si mettano insieme cose che tra loro non c’entrano nulla. Diversamente, all’interno di ogni provincia ci sono dei naturali bacini omogenei, per motivi economici, morfologici, sociologici, che devono diventare Unioni di Comuni, quindi luogo costante di collaborazione tra Comuni. Questi dovranno mettere insieme obbligatoriamente almeno tre funzioni e poi, in base a queste, possono avere ulteriori incentivi. Un meccanismo incentivante che spinga a metterne insieme sempre di più.

Questa proposta riguarda solo i piccoli Comuni?
No, la proposta non riguarda solo i piccoli Comuni, ma tutti gli 8 mila Comuni italiani e diventa un punto di partenza per una nuova governance del Paese. Ad oggi posso affermare che siamo in una fase positiva perché da più di un anno ci confrontiamo con il Governo e il Parlamento e ci aspettiamo che nei prossimi mesi venga fuori un disegno di legge che vada in questa direzione.

E per quel che riguarda le fusioni?
Relativamente alle fusioni, rimarrebbero esattamente come sono previste oggi dalla legge: volontarie con il parere in consiglio comunale dei cittadini attraverso un referendum e, anche in questo caso, chiediamo ulteriori incentivi e semplificazioni. Però se si agevolassero i Comuni a collaborare in ambito omogeneo in maniera stabile, sarebbe più semplice realizzare le fusioni perché verrebbero automaticamente negli anni.

Quindi un meccanismo che lascerebbe una certa autonomia ai territori?
Tale meccanismo lascerebbe senz’altro una totale autonomia ai territori, ma obbligherebbe a costruire una nuova governance del Paese.

Ma come si colloca l’idea di riforma nell’attuale contesto normativo, alla luce anche della Legge 56/2014?
Stiamo cercando di aggiustare la Legge Delrio per far sì che la riforma sia completa e fattibile, che crei efficacia ed efficienza, diversamente il rischio sarebbe di rimanere in una fase di transizione con tutti i problemi che ciò comporta.

Uno dei temi al centro della discussione lanciata da Legautonomie riguarda lo status degli amministratori locali, con riferimento alle “indennità che siano proporzionate al carico di lavoro e di responsabilità”. Cosa ne pensa?
Gli amministratori sono sempre in prima linea, pertanto il rapporto tra ciò che fanno e ciò che percepiscono è sicuramente molto più equilibrato di altre cariche. Io non credo che noi siamo in condizioni realisticamente di aumentare le indennità degli amministratori, penso che gli altri debbano prendere meno: senatori, consiglieri regionali. Nonostante il referendum di dicembre non sia passato e, quindi, abbiamo perso una grande occasione. Ci sono, poi, alcune figure come i sindaci dei piccoli comuni che sono anche presidenti di provincia, per i quali sarebbe opportuno valutare un aggiustamento delle indennità. Non si può chiedere a un sindaco di un piccolo comune di fare anche il presidente di provincia per seicento o settecento euro al mese, almeno dovrebbe essere prevista un’indennità pari a quella percepita dal sindaco del capoluogo.

E per quel che riguarda i rapporti tra Stato e Regioni?
Credo che sia opportuno valutare un meccanismo di razionalizzazione delle Regioni, in particolar modo di quelle più piccole. Io vengo da una regione di un milione e mezzo di abitanti, le Marche, confinante con l’Umbria, che ne ha 900 mila e credo che almeno queste due regioni dovrebbero mettersi insieme. L’obiettivo non è il risparmio, bensì un discorso legato alla competitività. Inoltre, se il compito delle regioni è quello di fare le leggi e la pianificazione, come io ritengo sia opportuno, le regioni più piccole non avrebbero un vero e proprio ruolo.