La materia dei servizi pubblici locali è stata per anni disciplinata dall’art. 113 D.lgs. 267/00 TUEL, poi superata dall’art. 23-bis DL 112/2008 e s.m.i. Con l’abrogazione referendaria del 13 giugno 2011 è venuto meno il principio, perseguito dal citato art. 23 bis e, poi, dall’art. 4 DL 138/2011, conv. dalla L 148/2011, dell’eccezionalità del modello in house per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (cfr C. Cost. n.199/2012 con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del suddetto art. 4). A decorrere dal 21 luglio 2011 l’art. 23-bis ha cessato di spiegare efficacia giuridica a seguito della pubblicazione del DPR 113/2011 con cui è stato ufficialmente proclamato l’esito del referendum abrogativo sulla G.U.R.I. n.167 del 20 luglio 2011.
Con la sentenza n. 762/2013 della sesta sezione
del Consiglio di Stato arriva dal giudice amministrativo la conferma della
sostanziale indifferenza, per il legislatore comunitario, della gestione
diretta rispetto alla gestione tramite terzi, individuati mediante gara, dei
servizi pubblici locali di rilevanza economica. Lo schema della società in house è, pertanto, “utilizzabile” da
parte dell’ente locale sulla base dei presupposti e delle modalità stabilite
dall’ordinamento comunitario ai sensi dell’art. 107 TFUE (partecipazione
totalitaria pubblica, controllo analogo, realizzazione della parte più
importante della propria attività con uno o più enti che la controllano) presupposti
e modalità meno stringenti di quelle introdotte dall’ordinamento interno e ora
abrogate, in quanto l’ordinamento comunitario non ha mai espressamente ed
univocamente affermato che per i servizi pubblici locali di rilevanza economica
(da equipararsi ai servizi di interesse economico generale, cfr C. Cost.
n.325/2010), sussista un obbligo assoluto e inderogabile di affidarli a terzi
sul mercato con esclusione dell’affidamento diretto a società in house. In ogni caso l’affidamento in house è soggetto al Patto di
stabilità interno ex art. 20 DL 98/11
e rientra nella materia della “tutela della concorrenza” di competenza
esclusiva statale (cfr C. Cost. 46/2013).
Sussiste il controllo analogo qualora gli enti pubblici territoriali:
a) provvedano
direttamente alla nomina o revoca degli amministratori e dei sindaci della
società (esistenza di un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e
sulle decisioni più importanti);
b) svolgano funzione di
indirizzo, coordinamento, supervisione;
c) esercitino attività di
controllo gestionale e finanziario (sopralluoghi, ispezioni, report periodici);
d) in caso di pluralità
di soci ciascun socio partecipi sia al capitale sociale che agli organi
direttivi della società potendo il controllo essere congiuntamente deliberato a
maggioranza (C.G., 13/11/2008 C-324/07, Coditel Brabant SA);
e) rapporto di
delegazione inter-organica, in cui si sostanzia lo schema organizzativo cd. in
house providing (Commissione europea, nota 26/6/2002);
f) la giurisprudenza
nazionale individua, in tali fattispecie, un rapporto di subordinazione
gerarchica;
g) si tratta
prevalentemente di un controllo successivo, ma non si esclude quello preventivo.
Compatibilmente con il diritto
societario sussistono criticità nell’immaginare spa con partecipazioni azionarie
a tempo determinato o con deferimento dei poteri sopra descritti all’Assemblea
dei Soci nell’ottica della responsabilità personale degli amministratori; in
tal senso appare più appropriata una trasformazione della spa in società a
responsabilità limitata per la maggiore ampiezza dei poteri statutari. Il Consiglio
di Stato valuta positivamente anche una serie di altri elementi, presenti nello
statuto della società affidataria diretta, quali: la previsione di poteri di
sopralluogo, l’esistenza di attività di indirizzo, programmazione e vigilanza
previste, oltre che nello statuto, nei contratti di servizio e (anche) nelle
carte di servizio e in ogni altro atto destinato a regolare i rapporti tra soci
e società, l’istituzione di comitati di controllo e vigilanza dotati di
pregnanti poteri (la verifica del raggiungimento degli obiettivi, la
valutazione dell’andamento economico – finanziario della gestione,
l’approvazione del piano industriale e degli altri documenti di programmazione,
la modifica degli schemi tipo dei contratti di servizio, l’assenso per le modifiche
degli impianti esistenti e la costruzione di nuovi impianti). La rilevanza
dell’attività è verificata in conformità alle norme e principi comunitari
nonché all’interpretazione della giurisprudenza della Corte di giustizia
dell’UE. La scelta dell’ente locale sulle modalità di organizzazione dei servizi
pubblici locali deve basarsi sui consueti parametri:
-
valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati coinvolti;
-
individuazione del modello più economico ed efficiente;
-
adeguata istruttoria e motivazione.
Trattandosi di scelta discrezionale la stessa è sindacabile per eccesso di
potere in sede di giustizia amministrativa (Cons. Stato, III, 8701/2013, n.26).
Evidenziando, con ciò, quanto sottile sia il confine tra il giudizio di merito
e il giudizio sulla discrezionalità, in particolare, tecnica. Altro aspetto
concerne la possibilità di esercizio del “controllo analogo” dell’ente
affidante sulla società affidataria quotata, per l’in-house providing, ai
fini dell’attribuzione della gestione di un servizio pubblico locale. Esiste
una norma di salvaguardia prevista dall’art. 34, comma 15, del DL 179/12 secondo cui gli “affidamenti
diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a società a partecipazione
pubblica già quotate in borsa a tale data, e a quelle da esse controllate ai
sensi dell'articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel
contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto”. Secondo
gli abrogati comma 8 dell’art. 23-bis del DL 112/ 2008 e il DPR 168/10 di
attuazione del citato art. 23-bis un contratto di servizio sottoscritto
dopo il 1° ottobre 2003, avrebbe dovuto cessare alla fine del 2011. Per
l’Antitrust affidamenti del genere risultano comunque in contrasto con i
principi comunitari in materia di concorrenza, in quanto la presenza di soci privati
nel capitale di una società di per sé impedisce la configurazione di un
rapporto di controllo analogo. Inoltre l’individuazione dei soci privati
mediante quotazione in borsa avviene con modalità non equiparabili a quelle di
una procedura ad evidenza pubblica poiché “qualunque
investimento di capitale privato obbedisce a considerazioni proprie degli
interessi privati e persegue obiettivi di natura differente dagli obiettivi di
interesse pubblico“ (cfr Corte di giustizia UE, 11 gennaio 2005, C-26/03
Stadt Halle).
Sui vincoli alle società strumentali il TAR Lombardia, Brescia Sez II,
21/2/2013, n.196 evidenzia che il DL 223/06
(Bersani) ha l’obiettivo di tutelare la concorrenza nel mercato degli appalti
pubblici, mentre il DL 95/12 (spending
review) individua nelle società strumentali una fonte di potenziale spreco
di risorse.
L’art. 13 del DL 223/2006 individua due categorie di attività vietate:
- quelle incompatibili con il carattere
strumentale della società (ovvero la produzione di beni e servizi non per un
ente pubblico specifico, ma per una pluralità di soggetti indeterminati) comunque
vietate anche se scorporate e svolte da una società controllata (la catena
societaria sarebbe solo un espediente finalizzato a eludere il divieto, cfr. C.
Cost. n.326/ 2008);
- quelle incompatibili con l’esclusività
dell’oggetto sociale (tra queste rientra lo svolgimento di servizi pubblici),
per le quali si apre la prospettiva
dello scorporo legittimo in una diversa società, e qui si inseriscono anche le
principali divergenze interpretative.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 17/2011
afferma due canoni interpretativi così sintetizzabili:
a) la trasmissione delle cause di esclusione alle
società partecipate, comprese quelle di terza generazione, si realizza quando
si possa ravvisare l’intenzione di eludere i divieti a carico delle società
strumentali;
b) una società partecipata incorre
negli stessi divieti della società strumentale quando beneficia dell’intervento
finanziario di quest’ultima. Risulta quindi salvaguardata la normativa
nazionale, più rigorosa di quella comunitaria, ma in conformità a quest’ultima
viene accolto il principio della verifica in concreto.
Un’importante innovazione normativa è già individuabile nella disciplina
sulla revisione della spesa pubblica. L’art. 4 commi 1-3 del DL 95/2012
introduce infatti una nuova classificazione delle società strumentali in vista
della liquidazione delle stesse attraverso scioglimento o alienazione.
Rientrano nella previsione le società con un fatturato da prestazione di
servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento
dell'intero fatturato. Con questo intervento il legislatore ha adottato un
nuovo approccio al problema delle società strumentali, individuando nelle
stesse una fonte di potenziale spreco di risorse e indirizzando le amministrazioni
verso la produzione interna dei servizi o l’acquisto degli stessi nel rispetto
della normativa comunitaria e nazionale, ossia tramite gara. Il divieto per le
affidatarie dirette di servizi pubblici locali di partecipare, anche tramite
proprie controllate, non solo a gare per servizi ulteriori, ma più in generale “per
servizi o attività per altri enti pubblici o privati” ai sensi dell’art. 23-bis,
comma 9, DL 112/08 e dell’art. 13 DL 223/2006 è trattato nella decisione del
Consiglio di Stato, Sez V, 15/2/2013, n.936. Il servizio è qualificabile come
strumentale quando viene svolto direttamente a favore dell’ente locale
affidante e non già come servizio pubblico locale. Il divieto per le società
partecipate da enti pubblici di svolgere attività extra moenia previsto dall’art. 13 DL 223/06 concerne qualsiasi
prestazione in favore di terzi, come dichiarato dall’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato con sentenza n.17/2011. La ratio consiste nell’impedire che società costituenti longa manus di enti pubblici restringano
il confronto concorrenziale nel mercato, abusando della propria posizione. La
deroga ai principi concorrenziali prevista dall’art. 23-bis, comma 9, DL 112/08
la quale consente agli affidatari diretti di servizi pubblici locali di
partecipare alla prima procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento dei
servizi da essi forniti senza gara, consente di continuare ad operare nello
stesso settore economico nel quale l’affidamento diretto è avvenuto, a
condizione di risultare vincitori di procedure competitive; l’eccezione alla
portata applicativa del divieto va intesa in senso letterale e dunque alle sole
società quotate in borsa, ma non già alle controllate (secondo periodo del
comma) come desumibile dal primo periodo che nel porre il divieto precisa che
esso si estende alle controllanti e controllate affidatarie dirette. Una
società nata dalla separazione societaria rispetto alla controllante
totalitaria ai sensi dell’art. 8, comma 2-bis, L 287/90, nel rispetto dei
principi di concorrenzialità, non vale a precludere l’operatività del divieto
di cui all’art. 23-bis comma 9; “... quest’ultimo
opera su un piano diverso, che prescinde dal rispetto del principio di
separazione societaria, essendo incentrato sulla sola circostanza dell’affidamento
diretto, laddove tale separazione si atteggia a mera precondizione per
partecipare ad ulteriori gare per l’affidamento di servizi strumentali, fermo
rimanendo che la società operante nel mercato dei servizi pubblici locali che
scorpora le attività in quest’ultimo settore, in conformità ai principi
stabiliti dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.326/2008, non deve aver
beneficiato a monte di affidamenti diretti di detti servizi pubblici …”. In
tal senso sono rafforzati i principi di concorrenzialità di matrice
comunitaria: il divieto prescritto dall’art. 13 DL 223/06, in relazione al
quale è posto l’obbligo di scorporo ex
art. 8, comma 2-bis, L 287/90, si applica in relazione all’oggetto sociale
delle società, per separare l’attività amministrativa da quella d’impresa
svolta in regime concorrenziale. Invece il divieto di cui all’art. 23-bis,
comma 9, DL 112/08 agisce sul titolo giuridico nel senso che anche
l’affidamento diretto è fonte di vantaggi concorrenziali da far valere per
l’acquisizione di altre commesse in danni di altri operatoti economici e di
enti pubblici: la norma pone il divieto per le affidatarie dirette di servizi
pubblici locali di partecipare, anche tramite proprie controllate, non solo a
gare per servizi ulteriori, ma più in generale “per servizi o attività per
altri enti pubblici o privati”. Le due norme proibitive sono legate da una ratio unitaria. L’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato nella decisione n. 17/2011 fa riferimento ad una diversa
fattispecie avente ad oggetto lo stesso servizio della gara impugnata, ove si è
escluso che operi il divieto di attività extra
moenia ex art. 13 DL 223/06, stante il carattere di società multiservizi
della controllante nonché il divieto di cui all’art. 23-bis, comma 9, DL 112/08
perché la controllante, sebbene affidataria diretta, è una società mista il cui
socio operativo privato è stato selezionato con gara a doppio oggetto. In
particolare il divieto per le società a capitale interamente pubblico o miste
strumentali agli Enti pubblici locali di partecipare all’aggiudicazione della
gara non indetta dagli Enti locali loro partecipanti di cui all’art. 13 del
decreto Bersani, non si applica alle società miste destinate a gestire servizi
pubblici locali che esercitano attività di impresa di enti pubblici non in
virtù di affidamenti diretti; il medesimo divieto è però applicabile anche alle
ipotesi in cui la società a capitale misto, con scopo statutario non esclusivo
e che intenda operare, mediante una società interamente partecipata, in favore
di enti locali non soci, voglia concorrere a gare per gli stessi servizi,
rispetto ai quali ha già affidamenti diretti da parte dei soci pubblici. È diverso
il caso in cui non vi sia un confronto concorrenziale a monte attraverso
l’affidamento del servizio con gara ad evidenza pubblica o con gara a doppio
oggetto per la selezione del socio industriale. Inoltre la connotazione di
società multiservizi esclude solo l’applicazione del divieto di cui all’art. 13
DL 223/06, ma non di quello successivamente introdotto con l’art. 23-bis, comma
9, DL 112/08. Allo stato attuale occorrerebbe un’ulteriore interpretazione nomofilattica
per dirimere interrogativi che sorgono spontanei dalla lettura dei recenti
orientamenti amministrativi o, viceversa, un nuovo intervento del Legislatore.