Editoriale di di Bruno Manzi, Presidente Legautonomie Lazio.
Il Ministro Orlando ha firmato il decreto con il quale sono stati confermati, fino al 7 gennaio prossimo i poteri attribuiti al commissario per i rifiuti di Roma, Goffredo Sottile quali l’impegno dell’assicurare che gli impianti Tmb possano lavorare a piena capacità, la promozione del riciclo dei rifiuti, l’uso di altri impianti,
la facoltà di controllare gli impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti e di commissariarli in caso di inadempienza oltre al compito di prorogare la discarica di Malagrotta per il tempo strettamente necessario a individuare l’impianto alternativo e comunque non oltre fine settembre. Il Decreto assegna il compito di sottoporre al ministro, entro il 31 luglio, una proposta di localizzazione di una discarica di servizio necessaria a completare il ciclo di selezione, recupero, raccolta differenziata e trattamento dei rifiuti (il commissario deve acquistare l’area individuata o in alternativa potrà espropriarla a fini di utilità pubblica e nel frattempo deve indire la gara europea per realizzare e gestire la discarica) nonché i poteri per accelerare le autorizzazioni degli impianti di compostaggio, anche sostituendosi a eventuali ritardi degli enti competenti.
Il Ministro Orlando ha firmato il decreto con il quale sono stati confermati, fino al 7 gennaio prossimo i poteri attribuiti al commissario per i rifiuti di Roma, Goffredo Sottile quali l’impegno dell’assicurare che gli impianti Tmb possano lavorare a piena capacità, la promozione del riciclo dei rifiuti, l’uso di altri impianti,
la facoltà di controllare gli impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti e di commissariarli in caso di inadempienza oltre al compito di prorogare la discarica di Malagrotta per il tempo strettamente necessario a individuare l’impianto alternativo e comunque non oltre fine settembre. Il Decreto assegna il compito di sottoporre al ministro, entro il 31 luglio, una proposta di localizzazione di una discarica di servizio necessaria a completare il ciclo di selezione, recupero, raccolta differenziata e trattamento dei rifiuti (il commissario deve acquistare l’area individuata o in alternativa potrà espropriarla a fini di utilità pubblica e nel frattempo deve indire la gara europea per realizzare e gestire la discarica) nonché i poteri per accelerare le autorizzazioni degli impianti di compostaggio, anche sostituendosi a eventuali ritardi degli enti competenti.
Questo provvedimento
evita il determinarsi una situazione di reale emergenza nel territorio di Roma
e del Lazio. Ad esso la l’Amministrazione Zingaretti ha affiancato
provvedimenti, con finanziamenti per 70 milioni di euro, di supporto alla
raccolta differenziata “porta a porta” di Roma Capitale. Tale azione di
supporto è fondamentale affinché i comuni possano organizzare una raccolta
differenziata “spinta” stante gli alti costi di avvio del processo non
trasferibili integralmente nella tariffa senza gravi ripercussioni sociali. Il
provvedimento segue e sviluppa l’azione attuata negli anni scorsi dalla
Provincia di Roma in coerenza con i principi che sono alla base della Direttiva
2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008,
relativa ai rifiuti. Lo sviluppo della raccolta “porta a porta” rappresenta un
tassello fondamentale nella strategia ottimale per dare una soluzione definitiva
al “problema” dello smaltimento dei rifiuti nella nostra regione ed alla
necessità di chiudere la megadiscarica di Malagrotta. Un tassello che deve
essere sviluppato all’interno di una più complessa azione che deve essere
coerente con la strategia messa in campo a livello di Unione Europea in materia
di ambiente e di rifiuti. Negli ultimi 40 anni grazie a un’intensa attività
legislativa sui temi ambientale l’Unione Europea ha raggiunto i più elevati
standard a livello internazionale, che ci hanno aiutati a far fronte ad alcune
delle principali preoccupazioni dei cittadini e degli operatori economici
dell’Unione riguardo all’ambiente. La politica attuata
dall’Unione ha favorito l’innovazione e gli investimenti in prodotti e servizi
legati all’ambiente, creando posti di lavoro e opportunità di esportazione. Gli
allargamenti dell’Unione che si sono succeduti hanno esteso gli elevati
standard di protezione ambientale a una buona parte del continente europeo. Tuttavia molte
tendenze nell’UE destano tutt’ora preoccupazione, non da ultimo a causa di
un’attuazione insoddisfacente della vigente legislazione ambientale unionale. Mentre a livello di
UE sono stati compiuti dei progressi per dissociare la crescita economica dalle
emissioni di gas a effetto serra, dagli impatti ambientali e dall’uso delle
risorse quest’ultimo è tutt’ora in gran parte insostenibile e inefficiente e i
rifiuti non sono gestiti al meglio. Di conseguenza, gli operatori economici
dell’UE non sfruttano appieno le opportunità che l’efficienza nell’uso delle
risorse può offrire in termini di competitività, riduzioni dei costi, aumento
di produttività e sicurezza di approvvigionamento. Gli attuali sistemi di
produzione e di consumo propri dell’economia globale generano molti rifiuti e
assieme alla domanda crescente di beni e servizi e all’esaurimento delle
risorse contribuiscono ad aumentare i costi delle materie prime fondamentali,
minerali ed energia, generando ancora più inquinamento e rifiuti, aumentando le
emissioni globali di gas a effetto serra e causando il degrado del suolo, la
deforestazione e la perdita di biodiversità. Per affrontare alcune di queste
problematiche complesse sarà necessario sfruttare appieno il potenziale in
termini di tecnologie ambientali e garantire che le industrie sviluppino
costantemente e diffondano le migliori tecniche disponibili e le innovazioni
emergenti. Sono inoltre
necessari progressi rapidi in ambiti dall’elevato potenziale scientifico e
tecnologico. Tutto ciò dovrebbe essere realizzato facendo leva sulla ricerca e
creando condizioni che spianino la strada ad investimenti privati in questo
campo. Al contempo abbiamo bisogno di una maggiore sensibilizzazione rispetto
ai potenziali rischi per l’ambiente e per la salute umana associati alle nuove
tecnologie nonché di una migliore valutazione e gestione degli stessi. Questa è
una precondizione per l’accettazione pubblica delle nuove tecnologie, così come
lo è per la capacità dell’UE di individuare gli sviluppi tecnologici e
contrastare i potenziali rischi ad essi associati in maniera efficace e
puntuale. L’UE ha aderito a
numerosi accordi internazionali in materia ambientale, compreso l’impegno
assunto nel quadro della conferenza della Nazioni Unite sullo sviluppo
sostenibile (Rio+20), in cui ha espresso il proprio sostegno a favore di
un’economia verde come parte integrante di una strategia più ampia per lo
sviluppo sostenibile. Gli impegni sono stati definiti ed integrati attraverso
l’elaborazione del VII programma generale di azione in materia di ambiente fino
al 2020 “Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta” con il quale sono stati
anche fissati gli obiettivi prioritari per l’UE da raggiungere entro il
medesimo termine. In molti casi le azioni finalizzate al raggiungimento di tali
obiettivi sono di natura prevalentemente nazionale, regionale o locale, in
linea con il principio di sussidiarietà. In altri casi sarà necessario
intervenire con misure supplementari a livello di UE. Poiché nell’UE la
politica ambientale è un ambito di competenza concorrente, uno dei fini del VII
programma è creare un senso di identificazione nei traguardi e negli obiettivi
comuni e garantire condizioni paritarie a operatori economici e autorità
pubbliche. La determinazione di
traguardi e obiettivi comuni fornisce inoltre un orientamento e un chiaro
quadro di riferimento per le azioni ai responsabili politici e ad altri
portatori d’interesse, comprese le regioni e i comuni, gli operatori economici
e le parti sociali, nonché i cittadini. Per quanto concerne
la politica dell’Unione in materia di rifiuti, gli assi di azione si ispirano a
principi fondamentali come l’obbligo di trattare i rifiuti in modo da evitare
impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana; l’incentivazione ad
applicare la gerarchia dei rifiuti1 e secondo il principio “chi inquina paga”,
il requisito che i costi dello smaltimento dei rifiuti siano sostenuti dal
detentore dei rifiuti, dai detentori precedenti o dai produttori della causa
dei rifiuti. Se questo è il quadro di prospettiva europea possiamo dire che la
strategia avviata tende ad evitare impatti negativi sull’ambiente e sulla
salute umana ed in parte incentiva l’applicazione della “gerarchia dei rifiuti”
promuovendo il riciclo ma è anche possibile affermare che rispetta il principio
“chi inquina paga”? Se affrontiamo la domanda dal versante delle singole
comunità, intese come un corpo unico, la risposta è si ma se invece il versante
è quello delle singole unità (imprese, famiglie, singoli) certamente è no! In
particolare il principio non è rispettato dalla concreta attuazione delle varie
TIA1, TIA2 o TARES al di là delle enunciazioni di principio. Infatti tali
imposte non sono messe in relazione alle reali produzioni di rifiuti ma a
quelle virtuali determinate sulla base di medie, più o meno realistiche. Se da un lato le
comunità, in quanto unicum, vengono stimolate a comportamenti virtuosi
(diminuire i conferimenti in discarica e massimizzare la valorizzazione dei
rifiuti intesa in tutte le sue accezioni) dall’altro lato i singoli non hanno
nessuna contropartita diretta ai loro comportamenti virtuosi. Infatti la loro
contropartita è mediata attraverso il comportamento dell’intera collettività
che determina e si avvantaggia complessivamente dei risultati raggiunti (se un
cittadino conferisce a discarica nessun rifiuto ed un secondo cittadino
conferisce 100 kg di rifiuti ed entrambi abitano immobili analoghi ciascuno di
loro si dovrà far carico del costo dello smaltimento di 50 kg). Ciò è dovuto al fatto
che le imposte sono calcolate mettendo in relazione il costo complessivo del
servizio con le superfici immobiliari utilizzate e non con i rifiuti prodotti
dalle singole attività umane. Questa tipologia di
relazione è stata scelta in quanto si è sempre ritenuto che fosse di notevole
difficoltà calcolare analiticamente le quantità, stante anche l’organizzazione
della raccolta e i comportamenti umani e che fosse più semplice dedurli
induttivamente parametrandoli a qualcosa di fisso (il possesso degli immobili). Tale metodo determina
forti sperequazioni e ancora il comportamento dei singoli alla propria
sensibilità ambientale. Mi sia permesso prospettare un altro modo di
applicazione dell’imposta. I rifiuti sono il
sottoprodotto del consumo o dell’uso di merci e quindi essi sono presumibili
sulla base delle quantità di queste. Se l’imposta fosse
una tassa sul consumo anziché sul “patrimonio” non sarebbe più equa? L’IVA
produce un gettito di oltre €120.000 milioni, la TIA e i vari tributi
ambientali (discarica e provinciale) producono un gettito di circa € 6. 500
milioni quindi essa rappresenterebbe un incremento delle attuali aliquote del
5,6% (dal 4 al 4,22, dal 10 al 10,56 e dal 21 al 22,17). Inoltre la produzione
di rifiuti deriva da un lato dalle merci e dall’altro dagli “inutili” imballi
che quasi sempre ne rappresentano la parte prevalente. In relazione a ciò
potrebbe essere prevista un’articolazione dell’imposta penalizzante le
produzioni ad alto tasso di rifiuti ed incentivante quelle a basso tasso di
rifiuti con articolazioni sempre più performanti. Tale tassazione
potrebbe essere resa esplicita nel prezzo di vendita della merce e d’altra
parte potrebbero essere riconosciuti crediti fiscali in relazione alle quantità
conferite in relazione al grado di differenziazione in modo da stimolare
comportamenti virtuosi da parte dei cittadini. Tale metodo dovrebbe
riguardare anche i costi per lo smaltimento dei rifiuti sostenuti dai
produttori. Contemporaneamente dovrebbe essere affrontato il tema del monopolio
della raccolta ipotizzando una sua liberalizzazione per frazioni di rifiuto. Ciò che propongo è
rendere ogni singolo consumatore protagonista del ciclo dei rifiuti come
individuo e non come numero scaturito da una “media”. Ciò è possibile e
praticabile? Io Il Ministro Orlando
ha firmato il decreto con il quale sono stati confermati, fino al 7 gennaio
prossimo i poteri attribuiti al commissario per i rifiuti di Roma, Goffredo
Sottile quali l’impegno dell’assicurare che gli impianti Tmb possano lavorare a
piena capacità, la promozione del riciclo dei rifiuti, l’uso di altri impianti,
la facoltà di controllare gli impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti
e di commissariarli in caso di inadempienza oltre al compito di prorogare la
discarica di Malagrotta per il tempo strettamente necessario a individuare
l’impianto alternativo e comunque non oltre fine settembre. Il Decreto assegna
il compito di sottoporre al ministro, entro il 31 luglio, una proposta di
localizzazione di una discarica di servizio necessaria a completare il ciclo di
selezione, recupero, raccolta differenziata e trattamento dei rifiuti (il
commissario deve acquistare l’area individuata o in alternativa potrà
espropriarla a fini di utilità pubblica e nel frattempo deve indire la gara
europea per realizzare e gestire la discarica) nonché i poteri per accelerare
le autorizzazioni degli impianti di compostaggio, anche sostituendosi a
eventuali ritardi degli enti competenti. Questo provvedimento
evita il determinarsi una situazione di reale emergenza nel territorio di Roma
e del Lazio. Ad esso la l’Amministrazione Zingaretti ha affiancato
provvedimenti, con finanziamenti per 70 milioni di euro, di supporto alla
raccolta differenziata “porta a porta” di Roma Capitale. Tale azione di
supporto è fondamentale affinché i comuni possano organizzare una raccolta
differenziata “spinta” stante gli alti costi di avvio del processo non
trasferibili integralmente nella tariffa senza gravi ripercussioni sociali. Il
provvedimento segue e sviluppa l’azione attuata negli anni scorsi dalla
Provincia di Roma in coerenza con i principi che sono alla base della Direttiva
2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008,
relativa ai rifiuti. Lo sviluppo della raccolta “porta a porta” rappresenta un
tassello fondamentale nella strategia ottimale per dare una soluzione
definitiva al “problema” dello smaltimento dei rifiuti nella nostra regione ed
alla necessità di chiudere la megadiscarica di Malagrotta. Un tassello che deve
essere sviluppato all’interno di una più complessa azione che deve essere
coerente con la strategia messa in campo a livello di Unione Europea in materia
di ambiente e di rifiuti. Negli ultimi 40 anni grazie a un’intensa attività
legislativa sui temi ambientale l’Unione Europea ha raggiunto i più elevati
standard a livello internazionale, che ci hanno aiutati a far fronte ad alcune
delle principali preoccupazioni dei cittadini e degli operatori economici
dell’Unione riguardo all’ambiente. La politica attuata
dall’Unione ha favorito l’innovazione e gli investimenti in prodotti e servizi
legati all’ambiente, creando posti di lavoro e opportunità di esportazione. Gli
allargamenti dell’Unione che si sono succeduti hanno esteso gli elevati standard
di protezione ambientale a una buona parte del continente europeo. Tuttavia molte
tendenze nell’UE destano tutt’ora preoccupazione, non da ultimo a causa di
un’attuazione insoddisfacente della vigente legislazione ambientale unionale. Mentre a livello di
UE sono stati compiuti dei progressi per dissociare la crescita economica dalle
emissioni di gas a effetto serra, dagli impatti ambientali e dall’uso delle
risorse quest’ultimo è tutt’ora in gran parte insostenibile e inefficiente e i
rifiuti non sono gestiti al meglio. Di conseguenza, gli operatori economici
dell’UE non sfruttano appieno le opportunità che l’efficienza nell’uso delle
risorse può offrire in termini di competitività, riduzioni dei costi, aumento
di produttività e sicurezza di approvvigionamento. Gli attuali sistemi di
produzione e di consumo propri dell’economia globale generano molti rifiuti e
assieme alla domanda crescente di beni e servizi e all’esaurimento delle
risorse contribuiscono ad aumentare i costi delle materie prime fondamentali,
minerali ed energia, generando ancora più inquinamento e rifiuti, aumentando le
emissioni globali di gas a effetto serra e causando il degrado del suolo, la
deforestazione e la perdita di biodiversità. Per affrontare alcune di queste
problematiche complesse sarà necessario sfruttare appieno il potenziale in
termini di tecnologie ambientali e garantire che le industrie sviluppino
costantemente e diffondano le migliori tecniche disponibili e le innovazioni
emergenti. Sono inoltre
necessari progressi rapidi in ambiti dall’elevato potenziale scientifico e
tecnologico. Tutto ciò dovrebbe essere realizzato facendo leva sulla ricerca e
creando condizioni che spianino la strada ad investimenti privati in questo
campo. Al contempo abbiamo bisogno di una maggiore sensibilizzazione rispetto
ai potenziali rischi per l’ambiente e per la salute umana associati alle nuove
tecnologie nonché di una migliore valutazione e gestione degli stessi. Questa è
una precondizione per l’accettazione pubblica delle nuove tecnologie, così come
lo è per la capacità dell’UE di individuare gli sviluppi tecnologici e
contrastare i potenziali rischi ad essi associati in maniera efficace e
puntuale. L’UE ha aderito a
numerosi accordi internazionali in materia ambientale, compreso l’impegno
assunto nel quadro della conferenza della Nazioni Unite sullo sviluppo
sostenibile (Rio+20), in cui ha espresso il proprio sostegno a favore di
un’economia verde come parte integrante di una strategia più ampia per lo
sviluppo sostenibile. Gli impegni sono stati definiti ed integrati attraverso
l’elaborazione del VII programma generale di azione in materia di ambiente fino
al 2020 “Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta” con il quale sono stati
anche fissati gli obiettivi prioritari per l’UE da raggiungere entro il
medesimo termine. In molti casi le azioni finalizzate al raggiungimento di tali
obiettivi sono di natura prevalentemente nazionale, regionale o locale, in
linea con il principio di sussidiarietà. In altri casi sarà necessario
intervenire con misure supplementari a livello di UE. Poiché nell’UE la
politica ambientale è un ambito di competenza concorrente, uno dei fini del VII
programma è creare un senso di identificazione nei traguardi e negli obiettivi
comuni e garantire condizioni paritarie a operatori economici e autorità
pubbliche. La determinazione di
traguardi e obiettivi comuni fornisce inoltre un orientamento e un chiaro
quadro di riferimento per le azioni ai responsabili politici e ad altri
portatori d’interesse, comprese le regioni e i comuni, gli operatori economici
e le parti sociali, nonché i cittadini. Per quanto concerne
la politica dell’Unione in materia di rifiuti, gli assi di azione si ispirano a
principi fondamentali come l’obbligo di trattare i rifiuti in modo da evitare
impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana; l’incentivazione ad
applicare la gerarchia dei rifiuti1 e secondo il principio “chi inquina paga”,
il requisito che i costi dello smaltimento dei rifiuti siano sostenuti dal
detentore dei rifiuti, dai detentori precedenti o dai produttori della causa
dei rifiuti. Se questo è il quadro di prospettiva europea possiamo dire che la
strategia avviata tende ad evitare impatti negativi sull’ambiente e sulla
salute umana ed in parte incentiva l’applicazione della “gerarchia dei rifiuti”
promuovendo il riciclo ma è anche possibile affermare che rispetta il principio
“chi inquina paga”? Se affrontiamo la domanda dal versante delle singole
comunità, intese come un corpo unico, la risposta è si ma se invece il versante
è quello delle singole unità (imprese, famiglie, singoli) certamente è no! In
particolare il principio non è rispettato dalla concreta attuazione delle varie
TIA1, TIA2 o TARES al di là delle enunciazioni di principio. Infatti tali
imposte non sono messe in relazione alle reali produzioni di rifiuti ma a
quelle virtuali determinate sulla base di medie, più o meno realistiche. Se da un lato le
comunità, in quanto unicum, vengono stimolate a comportamenti virtuosi
(diminuire i conferimenti in discarica e massimizzare la valorizzazione dei
rifiuti intesa in tutte le sue accezioni) dall’altro lato i singoli non hanno
nessuna contropartita diretta ai loro comportamenti virtuosi. Infatti la loro
contropartita è mediata attraverso il comportamento dell’intera collettività
che determina e si avvantaggia complessivamente dei risultati raggiunti (se un
cittadino conferisce a discarica nessun rifiuto ed un secondo cittadino
conferisce 100 kg di rifiuti ed entrambi abitano immobili analoghi ciascuno di
loro si dovrà far carico del costo dello smaltimento di 50 kg). Ciò è dovuto al fatto
che le imposte sono calcolate mettendo in relazione il costo complessivo del
servizio con le superfici immobiliari utilizzate e non con i rifiuti prodotti
dalle singole attività umane. Questa tipologia di
relazione è stata scelta in quanto si è sempre ritenuto che fosse di notevole
difficoltà calcolare analiticamente le quantità, stante anche l’organizzazione
della raccolta e i comportamenti umani e che fosse più semplice dedurli induttivamente
parametrandoli a qualcosa di fisso (il possesso degli immobili). Tale metodo determina
forti sperequazioni e ancora il comportamento dei singoli alla propria
sensibilità ambientale. Mi sia permesso prospettare un altro modo di
applicazione dell’imposta. I rifiuti sono il
sottoprodotto del consumo o dell’uso di merci e quindi essi sono presumibili
sulla base delle quantità di queste. Se l’imposta fosse
una tassa sul consumo anziché sul “patrimonio” non sarebbe più equa? L’IVA
produce un gettito di oltre €120.000 milioni, la TIA e i vari tributi
ambientali (discarica e provinciale) producono un gettito di circa € 6. 500
milioni quindi essa rappresenterebbe un incremento delle attuali aliquote del
5,6% (dal 4 al 4,22, dal 10 al 10,56 e dal 21 al 22,17). Inoltre la produzione
di rifiuti deriva da un lato dalle merci e dall’altro dagli “inutili” imballi
che quasi sempre ne rappresentano la parte prevalente. In relazione a ciò
potrebbe essere prevista un’articolazione dell’imposta penalizzante le produzioni
ad alto tasso di rifiuti ed incentivante quelle a basso tasso di rifiuti con
articolazioni sempre più performanti. Tale tassazione
potrebbe essere resa esplicita nel prezzo di vendita della merce e d’altra
parte potrebbero essere riconosciuti crediti fiscali in relazione alle quantità
conferite in relazione al grado di differenziazione in modo da stimolare
comportamenti virtuosi da parte dei cittadini. Tale metodo dovrebbe
riguardare anche i costi per lo smaltimento dei rifiuti sostenuti dai
produttori. Contemporaneamente dovrebbe essere affrontato il tema del monopolio
della raccolta ipotizzando una sua liberalizzazione per frazioni di rifiuto. Ciò che propongo è
rendere ogni singolo consumatore protagonista del ciclo dei rifiuti come
individuo e non come numero scaturito da una “media”. Ciò è possibile e
praticabile? Io ritengo di si. E dovrebbe essere
praticato. Su questo
Legautonomie intende promuovere occasioni per approfondire questa visione che
rende i cittadini protagonisti e consente l’adozione di politiche fiscali e che
stimolino la collettività in tal senso.