3 maggio 2013

Rifiuti: oltre l'emergenza con i cittadini protagonisti

Editoriale di di Bruno Manzi, Presidente Legautonomie Lazio. 

Il Ministro Orlando ha firmato il decreto con il quale sono stati confermati, fino al 7 gennaio prossimo i poteri attribuiti al commissario per i rifiuti di Roma, Goffredo Sottile quali l’impegno dell’assicurare che gli impianti Tmb possano lavorare a piena capacità, la promozione del riciclo dei rifiuti, l’uso di altri impianti,
la facoltà di controllare gli impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti e di commissariarli in caso di inadempienza oltre al compito di prorogare la discarica di Malagrotta per il tempo strettamente necessario a individuare l’impianto alternativo e comunque non oltre fine settembre. Il Decreto assegna il compito di sottoporre al ministro, entro il 31 luglio, una proposta di localizzazione di una discarica di servizio necessaria a completare il ciclo di selezione, recupero, raccolta differenziata e trattamento dei rifiuti (il commissario deve acquistare l’area individuata o in alternativa potrà espropriarla a fini di utilità pubblica e nel frattempo deve indire la gara europea per realizzare e gestire la discarica) nonché i poteri per accelerare le autorizzazioni degli impianti di compostaggio, anche sostituendosi a eventuali ritardi degli enti competenti.


Questo provvedimento evita il determinarsi una situazione di reale emergenza nel territorio di Roma e del Lazio. Ad esso la l’Amministrazione Zingaretti ha affiancato provvedimenti, con finanziamenti per 70 milioni di euro, di supporto alla raccolta differenziata “porta a porta” di Roma Capitale. Tale azione di supporto è fondamentale affinché i comuni possano organizzare una raccolta differenziata “spinta” stante gli alti costi di avvio del processo non trasferibili integralmente nella tariffa senza gravi ripercussioni sociali. Il provvedimento segue e sviluppa l’azione attuata negli anni scorsi dalla Provincia di Roma in coerenza con i principi che sono alla base della Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti. Lo sviluppo della raccolta “porta a porta” rappresenta un tassello fondamentale nella strategia ottimale per dare una soluzione definitiva al “problema” dello smaltimento dei rifiuti nella nostra regione ed alla necessità di chiudere la megadiscarica di Malagrotta. Un tassello che deve essere sviluppato all’interno di una più complessa azione che deve essere coerente con la strategia messa in campo a livello di Unione Europea in materia di ambiente e di rifiuti. Negli ultimi 40 anni grazie a un’intensa attività legislativa sui temi ambientale l’Unione Europea ha raggiunto i più elevati standard a livello internazionale, che ci hanno aiutati a far fronte ad alcune delle principali preoccupazioni dei cittadini e degli operatori economici dell’Unione riguardo all’ambiente. La politica attuata dall’Unione ha favorito l’innovazione e gli investimenti in prodotti e servizi legati all’ambiente, creando posti di lavoro e opportunità di esportazione. Gli allargamenti dell’Unione che si sono succeduti hanno esteso gli elevati standard di protezione ambientale a una buona parte del continente europeo. Tuttavia molte tendenze nell’UE destano tutt’ora preoccupazione, non da ultimo a causa di un’attuazione insoddisfacente della vigente legislazione ambientale unionale. Mentre a livello di UE sono stati compiuti dei progressi per dissociare la crescita economica dalle emissioni di gas a effetto serra, dagli impatti ambientali e dall’uso delle risorse quest’ultimo è tutt’ora in gran parte insostenibile e inefficiente e i rifiuti non sono gestiti al meglio. Di conseguenza, gli operatori economici dell’UE non sfruttano appieno le opportunità che l’efficienza nell’uso delle risorse può offrire in termini di competitività, riduzioni dei costi, aumento di produttività e sicurezza di approvvigionamento. Gli attuali sistemi di produzione e di consumo propri dell’economia globale generano molti rifiuti e assieme alla domanda crescente di beni e servizi e all’esaurimento delle risorse contribuiscono ad aumentare i costi delle materie prime fondamentali, minerali ed energia, generando ancora più inquinamento e rifiuti, aumentando le emissioni globali di gas a effetto serra e causando il degrado del suolo, la deforestazione e la perdita di biodiversità. Per affrontare alcune di queste problematiche complesse sarà necessario sfruttare appieno il potenziale in termini di tecnologie ambientali e garantire che le industrie sviluppino costantemente e diffondano le migliori tecniche disponibili e le innovazioni emergenti. Sono inoltre necessari progressi rapidi in ambiti dall’elevato potenziale scientifico e tecnologico. Tutto ciò dovrebbe essere realizzato facendo leva sulla ricerca e creando condizioni che spianino la strada ad investimenti privati in questo campo. Al contempo abbiamo bisogno di una maggiore sensibilizzazione rispetto ai potenziali rischi per l’ambiente e per la salute umana associati alle nuove tecnologie nonché di una migliore valutazione e gestione degli stessi. Questa è una precondizione per l’accettazione pubblica delle nuove tecnologie, così come lo è per la capacità dell’UE di individuare gli sviluppi tecnologici e contrastare i potenziali rischi ad essi associati in maniera efficace e puntuale. L’UE ha aderito a numerosi accordi internazionali in materia ambientale, compreso l’impegno assunto nel quadro della conferenza della Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile (Rio+20), in cui ha espresso il proprio sostegno a favore di un’economia verde come parte integrante di una strategia più ampia per lo sviluppo sostenibile. Gli impegni sono stati definiti ed integrati attraverso l’elaborazione del VII programma generale di azione in materia di ambiente fino al 2020 “Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta” con il quale sono stati anche fissati gli obiettivi prioritari per l’UE da raggiungere entro il medesimo termine. In molti casi le azioni finalizzate al raggiungimento di tali obiettivi sono di natura prevalentemente nazionale, regionale o locale, in linea con il principio di sussidiarietà. In altri casi sarà necessario intervenire con misure supplementari a livello di UE. Poiché nell’UE la politica ambientale è un ambito di competenza concorrente, uno dei fini del VII programma è creare un senso di identificazione nei traguardi e negli obiettivi comuni e garantire condizioni paritarie a operatori economici e autorità pubbliche. La determinazione di traguardi e obiettivi comuni fornisce inoltre un orientamento e un chiaro quadro di riferimento per le azioni ai responsabili politici e ad altri portatori d’interesse, comprese le regioni e i comuni, gli operatori economici e le parti sociali, nonché i cittadini. Per quanto concerne la politica dell’Unione in materia di rifiuti, gli assi di azione si ispirano a principi fondamentali come l’obbligo di trattare i rifiuti in modo da evitare impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana; l’incentivazione ad applicare la gerarchia dei rifiuti1 e secondo il principio “chi inquina paga”, il requisito che i costi dello smaltimento dei rifiuti siano sostenuti dal detentore dei rifiuti, dai detentori precedenti o dai produttori della causa dei rifiuti. Se questo è il quadro di prospettiva europea possiamo dire che la strategia avviata tende ad evitare impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana ed in parte incentiva l’applicazione della “gerarchia dei rifiuti” promuovendo il riciclo ma è anche possibile affermare che rispetta il principio “chi inquina paga”? Se affrontiamo la domanda dal versante delle singole comunità, intese come un corpo unico, la risposta è si ma se invece il versante è quello delle singole unità (imprese, famiglie, singoli) certamente è no! In particolare il principio non è rispettato dalla concreta attuazione delle varie TIA1, TIA2 o TARES al di là delle enunciazioni di principio. Infatti tali imposte non sono messe in relazione alle reali produzioni di rifiuti ma a quelle virtuali determinate sulla base di medie, più o meno realistiche. Se da un lato le comunità, in quanto unicum, vengono stimolate a comportamenti virtuosi (diminuire i conferimenti in discarica e massimizzare la valorizzazione dei rifiuti intesa in tutte le sue accezioni) dall’altro lato i singoli non hanno nessuna contropartita diretta ai loro comportamenti virtuosi. Infatti la loro contropartita è mediata attraverso il comportamento dell’intera collettività che determina e si avvantaggia complessivamente dei risultati raggiunti (se un cittadino conferisce a discarica nessun rifiuto ed un secondo cittadino conferisce 100 kg di rifiuti ed entrambi abitano immobili analoghi ciascuno di loro si dovrà far carico del costo dello smaltimento di 50 kg). Ciò è dovuto al fatto che le imposte sono calcolate mettendo in relazione il costo complessivo del servizio con le superfici immobiliari utilizzate e non con i rifiuti prodotti dalle singole attività umane. Questa tipologia di relazione è stata scelta in quanto si è sempre ritenuto che fosse di notevole difficoltà calcolare analiticamente le quantità, stante anche l’organizzazione della raccolta e i comportamenti umani e che fosse più semplice dedurli induttivamente parametrandoli a qualcosa di fisso (il possesso degli immobili). Tale metodo determina forti sperequazioni e ancora il comportamento dei singoli alla propria sensibilità ambientale. Mi sia permesso prospettare un altro modo di applicazione dell’imposta. I rifiuti sono il sottoprodotto del consumo o dell’uso di merci e quindi essi sono presumibili sulla base delle quantità di queste. Se l’imposta fosse una tassa sul consumo anziché sul “patrimonio” non sarebbe più equa? L’IVA produce un gettito di oltre €120.000 milioni, la TIA e i vari tributi ambientali (discarica e provinciale) producono un gettito di circa € 6. 500 milioni quindi essa rappresenterebbe un incremento delle attuali aliquote del 5,6% (dal 4 al 4,22, dal 10 al 10,56 e dal 21 al 22,17). Inoltre la produzione di rifiuti deriva da un lato dalle merci e dall’altro dagli “inutili” imballi che quasi sempre ne rappresentano la parte prevalente. In relazione a ciò potrebbe essere prevista un’articolazione dell’imposta penalizzante le produzioni ad alto tasso di rifiuti ed incentivante quelle a basso tasso di rifiuti con articolazioni sempre più performanti. Tale tassazione potrebbe essere resa esplicita nel prezzo di vendita della merce e d’altra parte potrebbero essere riconosciuti crediti fiscali in relazione alle quantità conferite in relazione al grado di differenziazione in modo da stimolare comportamenti virtuosi da parte dei cittadini. Tale metodo dovrebbe riguardare anche i costi per lo smaltimento dei rifiuti sostenuti dai produttori. Contemporaneamente dovrebbe essere affrontato il tema del monopolio della raccolta ipotizzando una sua liberalizzazione per frazioni di rifiuto. Ciò che propongo è rendere ogni singolo consumatore protagonista del ciclo dei rifiuti come individuo e non come numero scaturito da una “media”. Ciò è possibile e praticabile? Io Il Ministro Orlando ha firmato il decreto con il quale sono stati confermati, fino al 7 gennaio prossimo i poteri attribuiti al commissario per i rifiuti di Roma, Goffredo Sottile quali l’impegno dell’assicurare che gli impianti Tmb possano lavorare a piena capacità, la promozione del riciclo dei rifiuti, l’uso di altri impianti, la facoltà di controllare gli impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti e di commissariarli in caso di inadempienza oltre al compito di prorogare la discarica di Malagrotta per il tempo strettamente necessario a individuare l’impianto alternativo e comunque non oltre fine settembre. Il Decreto assegna il compito di sottoporre al ministro, entro il 31 luglio, una proposta di localizzazione di una discarica di servizio necessaria a completare il ciclo di selezione, recupero, raccolta differenziata e trattamento dei rifiuti (il commissario deve acquistare l’area individuata o in alternativa potrà espropriarla a fini di utilità pubblica e nel frattempo deve indire la gara europea per realizzare e gestire la discarica) nonché i poteri per accelerare le autorizzazioni degli impianti di compostaggio, anche sostituendosi a eventuali ritardi degli enti competenti. Questo provvedimento evita il determinarsi una situazione di reale emergenza nel territorio di Roma e del Lazio. Ad esso la l’Amministrazione Zingaretti ha affiancato provvedimenti, con finanziamenti per 70 milioni di euro, di supporto alla raccolta differenziata “porta a porta” di Roma Capitale. Tale azione di supporto è fondamentale affinché i comuni possano organizzare una raccolta differenziata “spinta” stante gli alti costi di avvio del processo non trasferibili integralmente nella tariffa senza gravi ripercussioni sociali. Il provvedimento segue e sviluppa l’azione attuata negli anni scorsi dalla Provincia di Roma in coerenza con i principi che sono alla base della Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti. Lo sviluppo della raccolta “porta a porta” rappresenta un tassello fondamentale nella strategia ottimale per dare una soluzione definitiva al “problema” dello smaltimento dei rifiuti nella nostra regione ed alla necessità di chiudere la megadiscarica di Malagrotta. Un tassello che deve essere sviluppato all’interno di una più complessa azione che deve essere coerente con la strategia messa in campo a livello di Unione Europea in materia di ambiente e di rifiuti. Negli ultimi 40 anni grazie a un’intensa attività legislativa sui temi ambientale l’Unione Europea ha raggiunto i più elevati standard a livello internazionale, che ci hanno aiutati a far fronte ad alcune delle principali preoccupazioni dei cittadini e degli operatori economici dell’Unione riguardo all’ambiente. La politica attuata dall’Unione ha favorito l’innovazione e gli investimenti in prodotti e servizi legati all’ambiente, creando posti di lavoro e opportunità di esportazione. Gli allargamenti dell’Unione che si sono succeduti hanno esteso gli elevati standard di protezione ambientale a una buona parte del continente europeo. Tuttavia molte tendenze nell’UE destano tutt’ora preoccupazione, non da ultimo a causa di un’attuazione insoddisfacente della vigente legislazione ambientale unionale. Mentre a livello di UE sono stati compiuti dei progressi per dissociare la crescita economica dalle emissioni di gas a effetto serra, dagli impatti ambientali e dall’uso delle risorse quest’ultimo è tutt’ora in gran parte insostenibile e inefficiente e i rifiuti non sono gestiti al meglio. Di conseguenza, gli operatori economici dell’UE non sfruttano appieno le opportunità che l’efficienza nell’uso delle risorse può offrire in termini di competitività, riduzioni dei costi, aumento di produttività e sicurezza di approvvigionamento. Gli attuali sistemi di produzione e di consumo propri dell’economia globale generano molti rifiuti e assieme alla domanda crescente di beni e servizi e all’esaurimento delle risorse contribuiscono ad aumentare i costi delle materie prime fondamentali, minerali ed energia, generando ancora più inquinamento e rifiuti, aumentando le emissioni globali di gas a effetto serra e causando il degrado del suolo, la deforestazione e la perdita di biodiversità. Per affrontare alcune di queste problematiche complesse sarà necessario sfruttare appieno il potenziale in termini di tecnologie ambientali e garantire che le industrie sviluppino costantemente e diffondano le migliori tecniche disponibili e le innovazioni emergenti. Sono inoltre necessari progressi rapidi in ambiti dall’elevato potenziale scientifico e tecnologico. Tutto ciò dovrebbe essere realizzato facendo leva sulla ricerca e creando condizioni che spianino la strada ad investimenti privati in questo campo. Al contempo abbiamo bisogno di una maggiore sensibilizzazione rispetto ai potenziali rischi per l’ambiente e per la salute umana associati alle nuove tecnologie nonché di una migliore valutazione e gestione degli stessi. Questa è una precondizione per l’accettazione pubblica delle nuove tecnologie, così come lo è per la capacità dell’UE di individuare gli sviluppi tecnologici e contrastare i potenziali rischi ad essi associati in maniera efficace e puntuale. L’UE ha aderito a numerosi accordi internazionali in materia ambientale, compreso l’impegno assunto nel quadro della conferenza della Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile (Rio+20), in cui ha espresso il proprio sostegno a favore di un’economia verde come parte integrante di una strategia più ampia per lo sviluppo sostenibile. Gli impegni sono stati definiti ed integrati attraverso l’elaborazione del VII programma generale di azione in materia di ambiente fino al 2020 “Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta” con il quale sono stati anche fissati gli obiettivi prioritari per l’UE da raggiungere entro il medesimo termine. In molti casi le azioni finalizzate al raggiungimento di tali obiettivi sono di natura prevalentemente nazionale, regionale o locale, in linea con il principio di sussidiarietà. In altri casi sarà necessario intervenire con misure supplementari a livello di UE. Poiché nell’UE la politica ambientale è un ambito di competenza concorrente, uno dei fini del VII programma è creare un senso di identificazione nei traguardi e negli obiettivi comuni e garantire condizioni paritarie a operatori economici e autorità pubbliche. La determinazione di traguardi e obiettivi comuni fornisce inoltre un orientamento e un chiaro quadro di riferimento per le azioni ai responsabili politici e ad altri portatori d’interesse, comprese le regioni e i comuni, gli operatori economici e le parti sociali, nonché i cittadini. Per quanto concerne la politica dell’Unione in materia di rifiuti, gli assi di azione si ispirano a principi fondamentali come l’obbligo di trattare i rifiuti in modo da evitare impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana; l’incentivazione ad applicare la gerarchia dei rifiuti1 e secondo il principio “chi inquina paga”, il requisito che i costi dello smaltimento dei rifiuti siano sostenuti dal detentore dei rifiuti, dai detentori precedenti o dai produttori della causa dei rifiuti. Se questo è il quadro di prospettiva europea possiamo dire che la strategia avviata tende ad evitare impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana ed in parte incentiva l’applicazione della “gerarchia dei rifiuti” promuovendo il riciclo ma è anche possibile affermare che rispetta il principio “chi inquina paga”? Se affrontiamo la domanda dal versante delle singole comunità, intese come un corpo unico, la risposta è si ma se invece il versante è quello delle singole unità (imprese, famiglie, singoli) certamente è no! In particolare il principio non è rispettato dalla concreta attuazione delle varie TIA1, TIA2 o TARES al di là delle enunciazioni di principio. Infatti tali imposte non sono messe in relazione alle reali produzioni di rifiuti ma a quelle virtuali determinate sulla base di medie, più o meno realistiche. Se da un lato le comunità, in quanto unicum, vengono stimolate a comportamenti virtuosi (diminuire i conferimenti in discarica e massimizzare la valorizzazione dei rifiuti intesa in tutte le sue accezioni) dall’altro lato i singoli non hanno nessuna contropartita diretta ai loro comportamenti virtuosi. Infatti la loro contropartita è mediata attraverso il comportamento dell’intera collettività che determina e si avvantaggia complessivamente dei risultati raggiunti (se un cittadino conferisce a discarica nessun rifiuto ed un secondo cittadino conferisce 100 kg di rifiuti ed entrambi abitano immobili analoghi ciascuno di loro si dovrà far carico del costo dello smaltimento di 50 kg). Ciò è dovuto al fatto che le imposte sono calcolate mettendo in relazione il costo complessivo del servizio con le superfici immobiliari utilizzate e non con i rifiuti prodotti dalle singole attività umane. Questa tipologia di relazione è stata scelta in quanto si è sempre ritenuto che fosse di notevole difficoltà calcolare analiticamente le quantità, stante anche l’organizzazione della raccolta e i comportamenti umani e che fosse più semplice dedurli induttivamente parametrandoli a qualcosa di fisso (il possesso degli immobili). Tale metodo determina forti sperequazioni e ancora il comportamento dei singoli alla propria sensibilità ambientale. Mi sia permesso prospettare un altro modo di applicazione dell’imposta. I rifiuti sono il sottoprodotto del consumo o dell’uso di merci e quindi essi sono presumibili sulla base delle quantità di queste. Se l’imposta fosse una tassa sul consumo anziché sul “patrimonio” non sarebbe più equa? L’IVA produce un gettito di oltre €120.000 milioni, la TIA e i vari tributi ambientali (discarica e provinciale) producono un gettito di circa € 6. 500 milioni quindi essa rappresenterebbe un incremento delle attuali aliquote del 5,6% (dal 4 al 4,22, dal 10 al 10,56 e dal 21 al 22,17). Inoltre la produzione di rifiuti deriva da un lato dalle merci e dall’altro dagli “inutili” imballi che quasi sempre ne rappresentano la parte prevalente. In relazione a ciò potrebbe essere prevista un’articolazione dell’imposta penalizzante le produzioni ad alto tasso di rifiuti ed incentivante quelle a basso tasso di rifiuti con articolazioni sempre più performanti. Tale tassazione potrebbe essere resa esplicita nel prezzo di vendita della merce e d’altra parte potrebbero essere riconosciuti crediti fiscali in relazione alle quantità conferite in relazione al grado di differenziazione in modo da stimolare comportamenti virtuosi da parte dei cittadini. Tale metodo dovrebbe riguardare anche i costi per lo smaltimento dei rifiuti sostenuti dai produttori. Contemporaneamente dovrebbe essere affrontato il tema del monopolio della raccolta ipotizzando una sua liberalizzazione per frazioni di rifiuto. Ciò che propongo è rendere ogni singolo consumatore protagonista del ciclo dei rifiuti come individuo e non come numero scaturito da una “media”. Ciò è possibile e praticabile? Io ritengo di si. E dovrebbe essere praticato. Su questo Legautonomie intende promuovere occasioni per approfondire questa visione che rende i cittadini protagonisti e consente l’adozione di politiche fiscali e che stimolino la collettività in tal senso.