La burocrazia dell'anticorruzione
Qual
è la rilevanza della questione-corruzione in Italia? Storicamente la capacità
di questo tema di polarizzare l’attenzione dell’opinione pubblica e della
classe politica risponde a una logica emergenziale e reattiva. La questione
entra accidentalmente nel dibattito pubblico, di norma quando uno scandalo
investe esponenti politici di spicco, attirando l’attenzione dei mass media e
inducendo così la classe politica a proporre frettolosamente e discutere – solo
eccezionalmente ad approvare – provvedimenti di riforma.
Come
risposta contingente a una catena di scandali matura anche la vicenda della
legge 190 del 2012, avviata nel 2010 dal governo di centrodestra e recuperata
dopo un lunghissimo iter, con sostanziose modifiche, dal governo tecnico
guidato da Mario Monti.
A distanza oltre vent’anni dalle inchieste di “mani
pulite” si tratta del primo tentativo organico di avviare una politica
improntata sia alla prevenzione che alla repressione di tali crimini. E’ molto
dubbia però la capacità della nuova cornice normativa di modificare in modo
significativo la struttura di opportunità che in Italia ha favorito lo sviluppo
di una corruzione endemica in molte aree di intervento pubblico. Su alcuni
punti significativi – vedi l'indebolimento del reati di concussione – si
registrano passi indietro, mentre tutte le principali raccomandazioni europee
sulle carenze dei profili di repressione sono rimaste lettera morta: non sono
toccati il riordino della normativa, i termini di prescrizione, la formazione
specializzata delle forze dell’ordine, la confisca dei proventi del reato di
corruzione, le misure sul contrasto al riciclaggio, quelle in materia di falso
in bilancio.
Poco convincente risulta anche il
disegno di prevenzione della corruzione, affidato alla predisposizione di piani
triennali da parte delle singole amministrazioni. L'individuazione di un
responsabile entro ciascuna amministrazione e il ruolo di traino attribuito a
una Civit riconvertita d'ufficio in autorità anticorruzione configurano infatti
un approccio astratto e formalistico alla questione. Nel migliore dei casi la
risposta prevedibile di enti già in serie difficoltà gestionali sarà la
produzione affrettata – la scadenza è il 31 gennaio – di campionari di buone
intenzioni, non accompagnati da alcuna formazione del personale né da serie
analisi del rischio-corruzione. Del resto, anche la procedura di verifica della
loro approvazione da parte della Civit è meramente cartacea. Una prospettiva
burocratica agli adempimenti formali dell'anticorruzione sembra però votata al
fallimento fin dalla nascita. Per questo è utile valorizzare le esperienze
esistenti che, rovesciando l'approccio dirigista del legislatore e la cultura
giuridico-formale dominante, configurano già un nuovo approccio per il
contrasto alla corruzione dal basso. Esiste infatti un sapere pratico costruito
faticosamente da molti soggetti, amministratori pubblici e operatori
dell'associazionismo per primi, da tempo attivi su questo fronte. Si pensi a
strumenti come la “Carta di Pisa”, il codice etico per amministratori locali
proposto nel 2012 da Avviso pubblico, già adottato da decine di enti locali,
che rafforza le disposizioni per la trasparenza patrimoniale e del
finanziamento politico. Dal basso nasce anche la campagna nazionale “Riparte il
futuro”, lanciata da pochi giorni da Libera e dal Gruppo Abele, con lo scopo di
riattivare i circuiti di controllo democratico tramite la mobilitazione dei cittadini,
promuovendo un impegno credibile e verificabile dei candidati alle prossime
elezioni politiche a rafforzare nei primi giorni del loro mandato le
disposizioni anticorruzione.
Gli anticorpi più
efficaci alla corruzione, specie quella sistemica, risiedono nell’attivismo
consapevole e informato della società civile, più che nella repressione o nella
deterrenza. La diffusione di buone pratiche e la fiducia istituzionale, basi di
consenso per l’attuazione delle necessarie riforme, si fondano infatti sulle
presenza di una massa critica di cittadini sensibili ai temi della questione
morale e dell'etica pubblica.
La Legge anticorruzione e il sistema dei controlli nella Pubblica amministrazione locale sono stati il tema centrale del seminario nazionale organizzato da Legautonomie lo scorso 4 febbraio a Roma presso il Centro congressi di via Cavour. Numerosi gli interventi e i contributi tecnici portati da veri esperti durante i lavori, nel corso dei quali sono stati approfonditi gli aspetti cardine della nuova disciplina con specifico riferimento alla realtà delle autonomie locali. Proponiamo qui di seguito due dei contributi tecnici proposti al pubblico nel corso del convegno, a firma di Alberto Vannucci, docente dell’Università di Pisa, e di Mario Collevecchio, esperto di Legautonomie.
Meno
corruzione con i controlli
di Mario Collevecchio (articolo
pubblicato sul numero del 25 gennaio 2013 di “Italia Oggi”)
Tra
i provvedimenti approvati dal Parlamento prima dello scioglimento assume
rilievo la conversione in legge del decreto174 che mira a ridurre i costi della
politica e soprattutto a introdurre controlli più penetranti sull’attività
delle regioni e degli enti locali. Quella dei controlli è una storia antica che
ogni tanto si ripete. Già dal 1999, e ancora di più dopo la soppressione dei
controlli esterni sugli atti dei comuni e delle province per effetto della
legge costituzionale 3/2001,si è tentato di introdurre un nuovo sistema di
controlli interni articolato nelle seguenti forme: controllo di regolarità
amministrativa e contabile, controllo di gestione, valutazione della dirigenza,
controllo strategico. In base all’articolo 147 del TUEL, la prima forma di
controllo mirava sostanzialmente a ricondurre all’interno dell’ente l’esame
rivolto a garantire la legittimità degli atti amministrativi in precedenza
affidato ai CORECO. Le altre forme, fortemente innovative, si collocavano
invece nel versante tracciato dai provvedimenti di riforma della PA consistente
nel controllo sui risultati conseguiti dall’amministrazione in termini
efficienza, efficacia ed economicità. In sintesi, il controllo di gestione era
rivolto a ottimizzare il rapporto costi-risultati; la valutazione dei dirigenti
a verificare le prestazioni effettuate e le competenze dimostrate; il controllo
strategico a rilevare i risultati finali conseguiti rispetto agli obiettivi
prestabiliti. Dopo oltre dieci anni di esperienze, il sistema dei controlli
interni non ha funzionato. Le cause sono diverse: mancata attuazione dei
principi di riforma della PA, assenza di validi strumenti di programmazione
dell’azione di governo e della gestione cui riferire l’attività di controllo,
difficoltà di individuare soggetti dotati di nuove professionalità, di
introdurre soluzioni organizzative adeguate, di ricercare e utilizzare metodi e
strumenti idonei a realizzare le nuove forme di controllo, scarsa efficacia
delle commissioni consiliari di controllo sull’attività delle giunte. In una parola,
assenza diffusa di una cultura del risultato. Con il decreto 150/2009 si è
cercato di intervenire introducendo l’obbligo di misurare e valutare la
performance dell’amministrazione nel suo complesso, delle unità organizzative e
dei singoli dipendenti e di differenziare in base al merito la valutazione dei
dirigenti. La scarsa incidenza dei Piani della performance e le rituali
modalità di valutazione della dirigenza appiattite sulle prassi dimostrano, in
gran parte dei casi, l’inefficacia dell’intervento. Il decreto- legge 174 trova
questo scenario nel quale i soli controlli che valgono sono quelli del giudice
penale e delle giurisdizioni contabili. E così sceglie la via forse obbligata
di potenziare i controlli esterni della Corte dei conti al fine di garantire la
regolarità delle gestioni, gli equilibri del bilancio e il funzionamento dei
controlli interni. Questi ultimi vengono rafforzati. In aggiunta al controllo
di regolarità amministrativa e contabile, del controllo di gestione e del
controllo strategico, viene introdotto il controllo costante degli equilibri
finanziari della gestione e, negli enti di maggiori dimensioni, il controllo
sulla qualità dei servizi erogati e il controllo sull’attività degli organismi
gestionali esterni. La definizione degli strumenti e delle modalità per rendere
operativo il nuovo sistema è attribuita al regolamento di ciascun ente da
adottare entro il 10 gennaio 2013, pena lo scioglimento del consiglio. Di qui
il panico, che l’ANCI ha saggiamente mitigato invitando gli enti a predisporre
una prima deliberazione consiliare di massima. Il pericolo dunque è ancora una
volta quello di affrontare le innovazioni frettolosamente e in termini di
adempimento formale senza rimuovere le cause di fondo che impediscono effettivi
processi di cambiamento. D’altro canto l’eccesso di normativa in questo campo
non giova e rischia di trasformarsi in grida manzoniane. Appare abbastanza
evidente che la disciplina dei controlli, specie quella attinente alla
regolarità amministrativa e contabile, interseca le disposizioni per la
prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella PA
dettate dalla legge 190/2012. Si tratta di una normativa complessa per la cui
applicazione gli enti locali avranno più tempo. E’prevista l’individuazione del
responsabile della prevenzione della corruzione (di norma il segretario) che
predispone e verifica l’attuazione del Piano triennale di prevenzione della
corruzione. Sono previsti meccanismi di controllo delle decisioni idonei a
prevenire il rischio di corruzione, verifiche sugli obblighi della trasparenza,
l’introduzione di un Codice etico, azioni di monitoraggio del rispetto dei
termini per la conclusione dei procedimenti e dei rapporti tra
l’amministrazione e i soggetti che stipulano con essa contratti. Ma la legge
prevede anche percorsi di formazione dei dipendenti dello Stato sui temi
dell’etica e della legalità. Detti percorsi, integrati da una moderna
formazione professionale ed estesi a tutte le amministrazioni pubbliche,
potrebbero concorrere a creare una nuova classe di dirigenti onesti e capaci in
grado non soltanto di dare concreta attuazione alle norme, ma di assicurare
davvero il buon funzionamento delle istituzioni.