5 aprile 2013

La Legge anticorruzione: cosa cambia per l’amministrazione locale

di Alberto Vannucchi e Mario Collevecchio.

La burocrazia dell'anticorruzione
di Alberto Vannucci (articolo pubblicato sul numero del 25 gennaio 2013 di “Italia Oggi”)
Qual è la rilevanza della questione-corruzione in Italia? Storicamente la capacità di questo tema di polarizzare l’attenzione dell’opinione pubblica e della classe politica risponde a una logica emergenziale e reattiva. La questione entra accidentalmente nel dibattito pubblico, di norma quando uno scandalo investe esponenti politici di spicco, attirando l’attenzione dei mass media e inducendo così la classe politica a proporre frettolosamente e discutere – solo eccezionalmente ad approvare – provvedimenti di riforma.

Come risposta contingente a una catena di scandali matura anche la vicenda della legge 190 del 2012, avviata nel 2010 dal governo di centrodestra e recuperata dopo un lunghissimo iter, con sostanziose modifiche, dal governo tecnico guidato da Mario Monti.
A distanza oltre vent’anni dalle inchieste di “mani pulite” si tratta del primo tentativo organico di avviare una politica improntata sia alla prevenzione che alla repressione di tali crimini. E’ molto dubbia però la capacità della nuova cornice normativa di modificare in modo significativo la struttura di opportunità che in Italia ha favorito lo sviluppo di una corruzione endemica in molte aree di intervento pubblico. Su alcuni punti significativi – vedi l'indebolimento del reati di concussione – si registrano passi indietro, mentre tutte le principali raccomandazioni europee sulle carenze dei profili di repressione sono rimaste lettera morta: non sono toccati il riordino della normativa, i termini di prescrizione, la formazione specializzata delle forze dell’ordine, la confisca dei proventi del reato di corruzione, le misure sul contrasto al riciclaggio, quelle in materia di falso in bilancio.

Poco convincente risulta anche il disegno di prevenzione della corruzione, affidato alla predisposizione di piani triennali da parte delle singole amministrazioni. L'individuazione di un responsabile entro ciascuna amministrazione e il ruolo di traino attribuito a una Civit riconvertita d'ufficio in autorità anticorruzione configurano infatti un approccio astratto e formalistico alla questione. Nel migliore dei casi la risposta prevedibile di enti già in serie difficoltà gestionali sarà la produzione affrettata – la scadenza è il 31 gennaio – di campionari di buone intenzioni, non accompagnati da alcuna formazione del personale né da serie analisi del rischio-corruzione. Del resto, anche la procedura di verifica della loro approvazione da parte della Civit è meramente cartacea. Una prospettiva burocratica agli adempimenti formali dell'anticorruzione sembra però votata al fallimento fin dalla nascita. Per questo è utile valorizzare le esperienze esistenti che, rovesciando l'approccio dirigista del legislatore e la cultura giuridico-formale dominante, configurano già un nuovo approccio per il contrasto alla corruzione dal basso. Esiste infatti un sapere pratico costruito faticosamente da molti soggetti, amministratori pubblici e operatori dell'associazionismo per primi, da tempo attivi su questo fronte. Si pensi a strumenti come la “Carta di Pisa”, il codice etico per amministratori locali proposto nel 2012 da Avviso pubblico, già adottato da decine di enti locali, che rafforza le disposizioni per la trasparenza patrimoniale e del finanziamento politico. Dal basso nasce anche la campagna nazionale “Riparte il futuro”, lanciata da pochi giorni da Libera e dal Gruppo Abele, con lo scopo di riattivare i circuiti di controllo democratico tramite la mobilitazione dei cittadini, promuovendo un impegno credibile e verificabile dei candidati alle prossime elezioni politiche a rafforzare nei primi giorni del loro mandato le disposizioni anticorruzione.

Gli anticorpi più efficaci alla corruzione, specie quella sistemica, risiedono nell’attivismo consapevole e informato della società civile, più che nella repressione o nella deterrenza. La diffusione di buone pratiche e la fiducia istituzionale, basi di consenso per l’attuazione delle necessarie riforme, si fondano infatti sulle presenza di una massa critica di cittadini sensibili ai temi della questione morale e dell'etica pubblica.

La Legge anticorruzione e il sistema dei controlli nella Pubblica amministrazione locale sono stati il tema centrale del seminario nazionale organizzato da Legautonomie lo scorso 4 febbraio a Roma presso il Centro congressi di via Cavour. Numerosi gli interventi e i contributi tecnici portati da veri esperti durante i lavori, nel corso dei quali sono stati approfonditi gli aspetti cardine della nuova disciplina con specifico riferimento alla realtà delle autonomie locali. Proponiamo qui di seguito due dei contributi tecnici proposti al pubblico nel corso del convegno, a firma di Alberto Vannucci, docente dell’Università di Pisa, e di Mario Collevecchio, esperto di Legautonomie.

Meno corruzione con i controlli
di Mario Collevecchio (articolo pubblicato sul numero del 25 gennaio 2013 di “Italia Oggi”)


Tra i provvedimenti approvati dal Parlamento prima dello scioglimento assume rilievo la conversione in legge del decreto174 che mira a ridurre i costi della politica e soprattutto a introdurre controlli più penetranti sull’attività delle regioni e degli enti locali. Quella dei controlli è una storia antica che ogni tanto si ripete. Già dal 1999, e ancora di più dopo la soppressione dei controlli esterni sugli atti dei comuni e delle province per effetto della legge costituzionale 3/2001,si è tentato di introdurre un nuovo sistema di controlli interni articolato nelle seguenti forme: controllo di regolarità amministrativa e contabile, controllo di gestione, valutazione della dirigenza, controllo strategico. In base all’articolo 147 del TUEL, la prima forma di controllo mirava sostanzialmente a ricondurre all’interno dell’ente l’esame rivolto a garantire la legittimità degli atti amministrativi in precedenza affidato ai CORECO. Le altre forme, fortemente innovative, si collocavano invece nel versante tracciato dai provvedimenti di riforma della PA consistente nel controllo sui risultati conseguiti dall’amministrazione in termini efficienza, efficacia ed economicità. In sintesi, il controllo di gestione era rivolto a ottimizzare il rapporto costi-risultati; la valutazione dei dirigenti a verificare le prestazioni effettuate e le competenze dimostrate; il controllo strategico a rilevare i risultati finali conseguiti rispetto agli obiettivi prestabiliti. Dopo oltre dieci anni di esperienze, il sistema dei controlli interni non ha funzionato. Le cause sono diverse: mancata attuazione dei principi di riforma della PA, assenza di validi strumenti di programmazione dell’azione di governo e della gestione cui riferire l’attività di controllo, difficoltà di individuare soggetti dotati di nuove professionalità, di introdurre soluzioni organizzative adeguate, di ricercare e utilizzare metodi e strumenti idonei a realizzare le nuove forme di controllo, scarsa efficacia delle commissioni consiliari di controllo sull’attività delle giunte. In una parola, assenza diffusa di una cultura del risultato. Con il decreto 150/2009 si è cercato di intervenire introducendo l’obbligo di misurare e valutare la performance dell’amministrazione nel suo complesso, delle unità organizzative e dei singoli dipendenti e di differenziare in base al merito la valutazione dei dirigenti. La scarsa incidenza dei Piani della performance e le rituali modalità di valutazione della dirigenza appiattite sulle prassi dimostrano, in gran parte dei casi, l’inefficacia dell’intervento. Il decreto- legge 174 trova questo scenario nel quale i soli controlli che valgono sono quelli del giudice penale e delle giurisdizioni contabili. E così sceglie la via forse obbligata di potenziare i controlli esterni della Corte dei conti al fine di garantire la regolarità delle gestioni, gli equilibri del bilancio e il funzionamento dei controlli interni. Questi ultimi vengono rafforzati. In aggiunta al controllo di regolarità amministrativa e contabile, del controllo di gestione e del controllo strategico, viene introdotto il controllo costante degli equilibri finanziari della gestione e, negli enti di maggiori dimensioni, il controllo sulla qualità dei servizi erogati e il controllo sull’attività degli organismi gestionali esterni. La definizione degli strumenti e delle modalità per rendere operativo il nuovo sistema è attribuita al regolamento di ciascun ente da adottare entro il 10 gennaio 2013, pena lo scioglimento del consiglio. Di qui il panico, che l’ANCI ha saggiamente mitigato invitando gli enti a predisporre una prima deliberazione consiliare di massima. Il pericolo dunque è ancora una volta quello di affrontare le innovazioni frettolosamente e in termini di adempimento formale senza rimuovere le cause di fondo che impediscono effettivi processi di cambiamento. D’altro canto l’eccesso di normativa in questo campo non giova e rischia di trasformarsi in grida manzoniane. Appare abbastanza evidente che la disciplina dei controlli, specie quella attinente alla regolarità amministrativa e contabile, interseca le disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella PA dettate dalla legge 190/2012. Si tratta di una normativa complessa per la cui applicazione gli enti locali avranno più tempo. E’prevista l’individuazione del responsabile della prevenzione della corruzione (di norma il segretario) che predispone e verifica l’attuazione del Piano triennale di prevenzione della corruzione. Sono previsti meccanismi di controllo delle decisioni idonei a prevenire il rischio di corruzione, verifiche sugli obblighi della trasparenza, l’introduzione di un Codice etico, azioni di monitoraggio del rispetto dei termini per la conclusione dei procedimenti e dei rapporti tra l’amministrazione e i soggetti che stipulano con essa contratti. Ma la legge prevede anche percorsi di formazione dei dipendenti dello Stato sui temi dell’etica e della legalità. Detti percorsi, integrati da una moderna formazione professionale ed estesi a tutte le amministrazioni pubbliche, potrebbero concorrere a creare una nuova classe di dirigenti onesti e capaci in grado non soltanto di dare concreta attuazione alle norme, ma di assicurare davvero il buon funzionamento delle istituzioni.