Editoriale di Bruno Manzi, Presidente Legautonomie Lazio.
una rassegna delle diverse ipotesi di intervento sulla tassazione immobiliare emerse nel recente dibattito, corredandole con valutazioni di natura quantitativa e qualitativa.
Il documento contiene valutazioni (l’impatto di gettito, gli effetti distributivi sui contribuenti, le implicazioni in termini di finanza locale e gli aspetti amministrativi e gestionali per il contribuente e l’Amministrazione ed infine i pro ed i contro) su una gamma di ipotesi di intervento e cerca di tener conto di quanto è emerso negli ultimi mesi, nel dibattito politico, negli interventi accademici, nelle audizioni parlamentari, nei rapporti degli organismi internazionali.
Le ipotesi prendono in considerazione vari scenari di esenzione
totale o parziale dell’imposizione IMU sulle abitazioni principali, sulla
deducibilità dell’IMU per le imprese e oltre a ciò viene valutato il
trasferimento dall’Erario ai Comuni del gettito derivante dagli immobili ad uso
produttivo. Le ipotesi o sono sul perimetro della sola IMU o sono un mix tra
questa e l’IRPEF e la TARES relativa ai servizi indivisibili disciplinata
dall’art. 14 del D. L. n. 201 del 2011. A fronte delle ipotesi, avanzate con il
documento del MEF, di superamento dell’Imu con l’introduzione di una service
tax che accorpi il prelievo sulla casa e la Tares, il Ministro dell’Ambiente
Orlando con una propria lettera al suo collega Saccomanni ha espresso dubbi ed
evidenziato criticità che potrebbero essere prodotte da tale soluzione. “Nel
rendersi fin da subito disponibile al confronto, Orlando, invita Saccomanni a
riflettere sulle criticità che una simile imposta unica potrebbe produrre in
relazione soprattutto alla normativa comunitaria. In ballo c’è il principio del
diritto UE in materia di rifiuti secondo cui chi inquina paga. Un principio che
certo non potrebbe coniugarsi mai con una tassazione che dovrebbe parametrarsi
ai metri quadrati occupati e non come chiede Bruxelles ai rifiuti prodotti.”
(da “Il Sole 24 Ore” dell’11 agosto 2013). I due principi, quello richiamato
dal Ministro Orlando, e quello della responsabilità estesa del produttore sono
i cardini delle politiche ambientali a livello europeo e internazionale come
anche stabilito con la Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del
Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti. Le politiche Europee si
sono sviluppate attraverso l’attuazione con l’opportuna combinazione di
strumenti politici dei vari programmi di azione in materia ambientale.
Bene quindi fa il
Ministro Orlando a sostenere che la service tax, per come è costruita (basata
sulla superficie immobiliare) non è coerente con le direttive comunitarie in
tema di rifiuti. D’altra parte è facile per i tecnici del MEF far presente che
tale nuova imposizione non riguarda la frazione TARES relativa al servizio
rifiuti e quindi non incide sull’applicazione delle suddette direttive. Infatti
nell’introduzione al documento e nello svolgimento delle varie ipotesi emerge
in modo esplicito che quella trattata è la TARES relativa ai servizi
indivisibili così come emerge che questa ha natura di tassazione immobiliare.
Ci sia permesso
osservare (così come abbiamo già fatto con l’editoriale pubblicato nel n. 3
maggio – giugno 2013 della rivista Orientamenti Amministrativi) che essendo
questa una mera percentuale addizionale alla componente della TARES relativa al
servizio rifiuti è possibile affermare che il giudizio sulla natura immobiliare
è da estendersi all’intera TARES. Da questo deriva che la valutazione del
Ministro deve essere estesa al tema su come da sempre è stata affrontata la
tassazione sui rifiuti, dalla sua istituzione con la TARSU per passare alla
TIA1 e TIA2 fino all’attuale TARES. Tali tassazioni, nella sostanza sono un
ibrido di patrimoniale immobiliare (legate all’uso anziché alla proprietà) che
non colpiscono la produzione di rifiuti e quindi non rispettano alla radice le
direttive e la filosofia comunitaria.
Quindi, cogliendo
l’occasione della riflessione avviata dal MEF in tema di tassazione immobiliare
sarebbe opportuno provare ad avviarne una finalizzata al ridisegno di quella
relativa alla gestione del ciclo dei rifiuti svincolata dal possesso di
immobili (di fatto alleggerendo la tassazione su questi) e realmente collegata
alla produzione di rifiuti.
I principi base per
una corretta tassazione del ciclo dei rifiuti sono:
1. chi inquina paga;
2. i costi devono
essere ripartiti in modo da rispecchiare il costo reale per l’ambiente della
produzione e della gestione dei rifiuti.
La determinazione del
“costo reale per l’ambiente della produzione e della gestione dei rifiuti” non
è facile mentre è possibile ricavare una valutazione complessiva delle risorse
impiegate dal Paese per la tutela dell’ambiente. Per quanto qui di nostro interesse
ciò è ricavabile dai dati elaborati dall’ISTAT relativamente alle spese
dell’economia italiana per la gestione dei rifiuti, delle acque reflue e delle
risorse idriche. Gli ultimi dati sono quelli relativi al periodo 1997/2010. Il
dato economico a cui è possibile riferirsi è, quindi, quello relativo alla
spesa che il sistema nazionale sostiene per la gestione dei rifiuti cioè dello
sforzo economico messo in atto per soddisfare la domanda corrente – consumi
finali e intermedi – ma anche, attraverso appropriati investimenti, la domanda
futura. Per fare ciò ci si avvale dei conti SERIEE. Essi forniscono un quadro
articolato di informazioni che consentono di analizzare le principali fasi del
circuito della spesa ambientale (produzione e domanda dei diversi servizi
ambientali, investimenti per la realizzazione dei servizi, ecc.). Il sistema dà
conto delle risorse economiche destinate alla salvaguardia del sistema
naturale, in ordine a fenomeni sia di inquinamento (emissioni atmosferiche,
scarichi idrici, rifiuti, ecc.) e degrado (perdita di biodiversità, erosione
del suolo, ecc.) sia di esaurimento delle risorse naturali (risorse idriche,
risorse energetiche, ecc.).
Nel 2010 la spesa
nazionale per la gestione dei rifiuti è stata pari a 21.941 milioni di euro,
con una incidenza sul Pil del 1,4%.
La componente
principale della spesa nazionale, con una percentuale pari all’89% nel 2010, è
data dai consumi finali e intermedi delle diverse tipologie di utenze,
pubbliche e private (Prospetto 1). In particolare, i consumi intermedi delle
imprese, comprensivi anche delle utenze civili quali, ad esempio, esercizi
commerciali o di ristorazione, costituiscono la quota principale della spesa
nazionale nel settore della gestione dei rifiuti con incidenza pari al 56% del
totale della spesa nazionale. Nel 2010 gli investimenti, componente della spesa
nazionale finalizzata alla sostituzione del capitale produttivo e al
potenziamento quantitativo o qualitativo del servizio, rappresentano l’11% del
totale della spesa. Sono, in particolare, gli investimenti dei produttori
specializzati privati, ossia di quelle imprese che hanno per attività
principale la produzione di servizi ambientali per la vendita a terzi, a far
registrare il peso maggiore sul totale della spesa nazionale, con una
percentuale del 9%, a fronte di una percentuale del 2% dei produttori
specializzati pubblici.
Nel 2010 in Italia il
valore della produzione dei servizi di gestione dei rifiuti, ammontava
complessivamente a 20.501 milioni di euro – rappresentava lo 0,7% del totale
della produzione dell’intera economia.
L’analisi del
finanziamento della spesa nazionale consente di evidenziare l’effettivo onere
finanziario gravante sui produttori e utilizzatori di servizi ambientali
tenendo conto degli effetti redistributivi derivanti da possibili trasferimenti
tra i diversi settori istituzionali. Nel caso del servizio in esame tali
effetti redistributivi sono sostanzialmente poco rilevanti. Si tratta di un
servizio che viene corrisposto a un prezzo, o tariffa o canone che,
tendenzialmente, punta ad assicurare la copertura del 100% dei costi. Ne deriva
una situazione di prevalente autofinanziamento dei propri impieghi da parte dei
diversi utilizzatori.
Nel settore della
gestione dei rifiuti nel 2010, le imprese finanziano il 63% della spesa
nazionale, gli utilizzatori finali il 34%; la Pubblica amministrazione (PA) e
le Istituzioni sociali private senza scopo di lucro al servizio delle famiglie
(ISP) il restante 3%.
Le spese sostenute
dalle imprese sono dalle stesse considerate nell’ambito dei costi di produzione
e quindi ricadono tra i componenti per la determinazione del prezzo di cessione
del bene o servizio. Conseguentemente detto costo si trasforma in un onere sul
consumo delle merci. Gli utilizzatori finali, e tra questi rientrano i
produttori dei rifiuti assimilati agli urbani (imprese e professionisti),
sostengono gli oneri a loro carico attraverso il pagamento della TIA1 e TIA 2
ed ora la TARES. Anche in questo caso gli oneri a carico delle imprese e dei
professionisti sono considerati costi di produzione con le conseguenze sopra
illustrate.
Possiamo affermare,
quindi, che gli oneri conseguenti all’attuale normativa sui rifiuti hanno
un’incidenza sui consumi delle famiglie, analoga ad un’imposta sugli stessi, ma
non discrimina i beni in relazione alla quantità e qualità dei rifiuti che essi
producono.
Per costruire una
ipotesi di imposizione che rispetti i criteri comunitari precedentemente
richiamati e tenere in considerazione l’orientamento dell’Unione europea sulla
strumentazione fiscale connessa con il miglioramento delle performance in
termini di tutela ambientale (rinvenibile nel “Libro verde sugli strumenti di
mercato utilizzati a fini di politica ambientale e ad altri fini connessi”
{SEC(2007) 388}) è necessario indagare e definire da cosa deriva la produzione
di rifiuti nonché considerare che:
• l’attuale
tassazione sui rifiuti garantisce la copertura anche degli oneri relativi allo
spazzamento delle aree urbane;
• dai dati ISPRA
risulta che il grado di copertura dei suddetti costi è a livello nazionale del
94,1% (dato 2011) conseguentemente la differenza (5,9%) è finanziata con onere
a carico della fiscalità generale comunale.
Dalle linee guida per
predisporre il programma nazionale di prevenzione dei rifiuti emanate dalla
Commissione Europea in attuazione della Waste Framework Directive (2008/98/CE),
è individuato il seguente ciclo di vita dei rifiuti (merci):
1.
estrazione/manifattura;
2. trasporto;
3. distribuzione;
4. acquisto e uso;
5. riuso del
prodotto;
6. raccolta tramite
autorità locale o operatore;
7. preparazione per
il riuso;
8. riciclo;
9. altri metodi di
pretrattamento, trattamento, recupero
Quindi il punto di
partenza per valutare la produzione di rifiuti è l’estrazione/la manifattura
ossia sono:
a) le merci;
b) i prodotti
rinvenibili in natura (piante, terre da scavo, ecc).
Per quanto riguarda
le merci, in relazione al ciclo sopra descritto, i rifiuti sono conseguenti a:
a.1) scarti di lavorazione;
a.2) imballi per il
trasporto;
a.3) imballi per la
distribuzione;
a.4.1) residui da uso
di beni di consumo non durevoli;
a.4.2) residui
dell’uso di beni durevoli.
Per quanto riguarda i
prodotti rinvenibili in natura, non ricomprendendo quelli destinati alla
commercializzazione, i rifiuti possono essere conseguenti, in via esplicativa e
non esaustiva, a:
b.1) piante per la
produzione agricola;
b.2) piante
ornamentali;
b.3) spazi verdi;
b.4) animali da
allevamento;
b.5) animali
domestici;
b.6) terre e rocce da
scavo.
Abbiamo avuto modo di
verificare che l’onere del costo del ciclo dei rifiuti (la spesa nazionale per
la gestione dei rifiuti) è posto a carico:
a) delle imprese e
dei professionisti dovendo gli stessi provvedere direttamente allo smaltimento
dei rifiuti speciali;
b) dei produttori in
applicazione del principio comunitario della “responsabilità estesa”;
c) dei possessori di
immobili per la gestione dei rifiuti urbani;
d) della fiscalità
generale.
Cioè essi sono a
carico delle imprese, dei professionisti e delle famiglie:
• per le prime due
categorie rappresenta un costo di produzione che viene valutato in sede di
determinazione del prezzo a cui vendere le merci o servizi;
• per l’ultima
rappresenta un prelievo economico in relazione all’uso di immobili.
In tutti e due i casi
sono un onere per le famiglie che produce una diminuzione del reddito
disponibile per consumi e risparmio. Un effetto analogo a quello che è
provocato dall’applicazione di un’imposizione sui consumi. Però un’imposizione
non specializzata e che non discrimina la qualità e quantità delle merci
consumate e quindi dei rifiuti prodotti.
Se l’imposta deve far
carico, in relazione alla quantità e qualità di rifiuti, ai produttori degli stessi
è necessario determinare tale presupposto.
Ciò può essere fatto:
• in termini
puntuali, a valle della loro produzione;
• in fase di
smaltimento, o in termini deduttivi, attraverso analisi parametriche derivanti
da valutazioni statistiche.
La determinazione
puntuale risulta, a tutt’oggi, di complicata ed onerosa percorribilità, tant’è
che, per i rifiuti urbani ed assimilati, viene praticata in pochissime
situazioni.
La determinazione in
termini deduttivi, attualmente, si basa sul “Regolamento recante norme per la
elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di
gestione del ciclo dei rifiuti urbani” approvato con il D.P.R. 27 aprile 1999,
n. 158. In base al Regolamento i Comuni attribuiscono alle singole categorie di
utenze un coefficiente relativo alla potenziale produzione di rifiuti connessa
alla tipologia di attività per unità di superficie assoggettabile.
In merito
all’applicazione di tale metodo abbiamo avuto modo di constatare che la
correlazione tra produzione di rifiuti e possesso di immobili non raggiunge gli
obiettivi prefissati di rispetto del principio comunitario “chi produce rifiuti
paga” ma si concretizza semplicemente in una tassa sul possesso con le
caratteristiche avanti illustrate.
Proviamo ora a
esplorare una nuova ipotesi di tassazione sui rifiuti che da un lato offra
copertura finanziaria agli oneri connessi con l’intero ciclo dei rifiuti e
dall’altro sia in grado di migliorare i segnali sui prezzi al fine di stimolare
l’applicazione della gerarchia dei rifiuti ed infine possa trasformarsi in un
fattore di competitività per le imprese e rappresentare una ulteriore
possibilità di sviluppo del mercato, con la creazione di nuove opportunità
imprenditoriali e di buona occupazione.
Abbiamo visto che la
produzione di rifiuti è da mettere in relazione:
1) alla quantità e
qualità delle merci consumate;
2) alle
caratteristiche degli immobili posseduti;
3) alle
caratteristiche delle attività svolte.
Quindi sulla base
della prima relazione si può prevedere l’istituzione di una imposta che
colpisca selettivamente tutti gli acquisti di merci, diciamo la Tassa di
Smaltimento Anticipata (TSA), e si basi:
1) per i beni non
durevoli:
1a) sulla quantità;
1b) sulla qualità
merceologica (tipo di materia prima e/o materia prima seconda)
1c) sulle
caratteristiche quali quantitative degli imballi (valutati in rapporto
quantitativo al bene e alle qualità merceologiche valutate come a2) e alle
potenzialità di riuso;
1d) sul grado di
riciclabilità, riusabilità e compostabilità dei materiali utilizzati per la
produzione del bene
1e) sull’uso di
materie prime seconde.
2) per i beni
durevoli:
2a) gli stessi
fattori valutati per i beni non durevoli;
2b) la durata di
vita.
L’imposta sarà
relazionata sia agli oneri sostenuti dalle imprese e dai professionisti che
dalle famiglie nel loro complesso.
Per quanto riguarda
la gestione dei rifiuti speciali e l’obbligo esteso dei produttori nulla dovrà
essere variato in termini di normativa nazionale applicativa delle disposizioni
comunitarie circa le obbligazioni a cui gli stessi sono tenuti. L’unica sostanziale
differenza dovrà essere che gli oneri sostenuti a tali fini saranno
riconosciuti in termini di crediti fiscali la cui copertura sarà garantita
attraverso i proventi della TAS. Ciò non avrà aggravio sui costi di produzione
delle merci e quindi non avrà effetti sui prezzi finali delle stesse né
distorsivi del mercato. Di contro, con una gestione intelligente della
tassazione e del sistema di agevolazioni fiscali si avranno effetti positivi
sia in termini di competitività per le imprese virtuose, in quanto sarà
soggetta a tassazione l’intera platea dei beni prodotti e quindi saranno
colpiti anche quelli prodotti da soggetti non virtuosi, sia di stimolo a
comportamenti virtuosi. Inoltre si potranno avere anche effetti positivi in
termini di contrasto all’evasione fiscale. L’imposta ed il sistema di
agevolazioni connesso sono compatibili con la normativa comunitaria sia quella
ambientale sia quella relativa agli aiuti di Stato e sono in linea con le
considerazioni strategiche di cui al richiamato libro verde.
La TAS produrrà:
• un effetto di
reddito sottraendo potere d’acquisto ai contribuenti che si troveranno nella
necessità di diminuire il consumo di tutti i beni, ma tale effetto non sarà
complessivamente aggiuntivo all’effetto provocato dall’attuale sistema di
copertura degli oneri. Certamente provocherà una diversa distribuzione del
carico tra i vari contribuenti in relazione ai loro consumi. Eventuali effetti
distorsivi a danno delle fasce deboli della popolazione potranno essere
superati attraverso la applicazione di correttivi fiscali di natura
redistributiva finanziati con la fiscalità generale su cui si tratterà in
seguito.
• un effetto di
sostituzione in quanto determinerà una sostituzione dei beni tassati o più
pesantemente tassati con quelli esenti o tassati più mitemente e in conseguenza
a ciò quindi si potrà stimolare il consumo dei beni ambientalmente più
sostenibili e penalizzare quelli che lo sono meno. Tale possibilità non è
realizzabile con l’attuale regime di ripartizione degli oneri sulla gestione
dei rifiuti (imposte e “responsabilità estesa”).
Va tenuto presente,
inoltre, che un’imposizione di tale natura non si ripercuote nella sua
interezza sul prezzo finale dei beni o servizi in quanto una parte grava sui
produttori con un vantaggio per i consumatori.
Con l’istituzione
della TAS è possibile inoltre stimolare comportamenti virtuosi da parte dei
singoli, infatti:
a) se sarà reso
obbligatorio rendere esplicito nel prezzo finale del bene l’importo della tassa
dovuta si metteranno i consumatori in grado di valutare, anche in termini
comparativi, l’impatto dello stesso sul sistema ambientale. Ciò potrà stimolare
una concorrenza di mercato ai fini ambientali tra i singoli produttori. Già
oggi, in conseguenza della crescita della sensibilità della popolazione verso
la tutela dell’ambiente, anche il fattore “sostenibilità ambientale” viene
considerato ai fini della scelta di acquisto di un determinato bene. Con la
istituzione della IAR questo fattore sarà reso più esplicito e di più semplice
valutazione da parte degli acquirenti in quanto, per lo meno per la parte
rifiuti, esplicitamente riportato nel prezzo d’acquisto. Ciò costringerà i
produttori ad assumere comportamenti realmente virtuosi e non psicologici resi
attraverso campagne di promozione pubblicitarie;
b) se sarà concepita
con la logica del “deposito”, e quindi con la previsione che venga restituita
tutta o in quota parte in relazione alla quantità e qualità dei rifiuti
conferiti:
b.1) renderà
vantaggiosa economicamente, per il singolo, la riconsegna dei rifiuti.
b.2) stimolerà
l’attività di differenziazione dei rifiuti, da parte dei singoli, e ciò in base
alla minore o maggiore premialità insita nella previsione di restituzione della
TAS ;
b.3) se la
restituzione della TAS sarà in relazione alla quantità complessiva pagata della
stessa ciò stimolerà l’interesse dei singoli all’emissione della documentazione
fiscale relativa ai propri acquisti con evidente vantaggio per
l’amministrazione fiscale nella lotta all’evasione.
La TAS potrebbe essere
articolata in due aliquote:
1. la prima (TASp) a
beneficio dell’Erario per le parti relative alla responsabilità estesa del
produttore ed alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti speciali;
2. la seconda (TASu)
a beneficio delle Autorità d’Ambito per la parte relativa alla gestione e allo
smaltimento dei rifiuti urbani e degli assimilati.
Con l’istituzione
della TAS si potrebbe dare risposta ad una parte delle nostre esigenze: quelle
connesse con la produzione ed il consumo di merci che comunque, come abbiamo
visto assorbono la gran parte dell’onere economico del ciclo dei rifiuti e come
effetto indotto produrrà un alleggerimento del peso fiscale gravante sugli
immobili (di misura pari se non superiore a quello ipotizzato nel documento del
MEF con l’abolizione/rimodulazione dell’IMU).
A questo punto
affrontiamo la parte di rifiuti prodotti, diciamo, in natura. Per questa
fattispecie la determinazione in termini induttivi può essere ricavata secondo
indici parametrici dedotti da dati statistici e correlati con la superficie
degli immobili utilizzati in relazione alla loro destinazione.
Dell’attuale ciclo di
gestione e smaltimento dei rifiuti resta, al momento non analizzata la frazione
connessa con lo spazzamento delle aree pubbliche.
Gli oneri relativi a
tale servizio possono essere valutati ed attribuiti in termini di competenza in
modo analogo alla più complessiva categoria dei servizi indivisibili e della
quota parte delle spese per le funzioni essenziali dei Comuni non coperte da
trasferimenti erariali da parte dello Stato.
Essi dovrebbero
essere finanziati, in forma prevalente, attraverso la service tax anche nelle
forme ipotizzate dal documento del MEF, sostitutiva dell’attuale IMU, da porre
a carico di chi detiene in uso beni immobili. Per una più completa esposizione
su questa parte di tassazione si rinvia a quanto già scritto in materia
nell’ambito di un a complessiva ipotesi di nuovo modello di governance del
territorio.
Gli eventuali effetti
distorsivi connessi con il sistema di nuova imposizione ipotizzato potranno
essere corretti attraverso azioni redistributive finanziate:
• con trasferimenti
perequativi derivanti da fiscalità generale nazionale;
• con la previsione
di un’imposizione che colpisca la proprietà immobiliare;
• con l’applicazione di
una addizionale comunale sui redditi con caratteristiche progressive e non
uniforme come esiste attualmente.
Un’ulteriore
riflessione deve essere riservata ai fenomeni di abbandono dei rifiuti negli
spazi incustoditi. Premesso che tale fenomeno dovrebbe ridursi a seguito
dell’interesse economico dei singoli a riconsegnare gli stessi nei giusti
centri di raccolta per le situazioni dove tale fenomeno dovesse permanere:
• deve essere
riconfermata la responsabilità solidale per i proprietari di immobili per l’abbandono
dei rifiuti riconoscendo a loro carico sia gli oneri relativi alla necessaria
bonifica delle aree sia della sanzione connessa con l’abbandono dei rifiuti;
• il potere
sanzionatorio dovrebbe essere collocato in capo ai Comuni in caso di inerzia di
questi ultimi tale potere sarà esercitato dalle altre Istituzioni. I proventi
delle sanzioni saranno a favore di chi la eleva e potranno essere utilizzati
senza vincolo di destinazione. In caso di surroga al Comune inadempiente farà
carico una penalità a favore del procedente.
Infine,
l’articolazione dell’imposizione sul ciclo dei rifiuti così come ipotizzata
stimolerà una diversa organizzazione della raccolta che potrà ricomprendere sia
i sistemi “porta a porta” sia dei “centri di raccolta” e che nel contempo possa
portare al superamento al concetto di monopolio attualmente applicato. Nello
specifico potranno essere previsti punti di raccolta, anche con la
caratteristica di esercizi commerciali, collocati nel tessuto urbano delle
città caratterizzati da una specializzazione in termini merceologici e da una
compatibilità ambientale ed igienico sanitaria con il contesto urbano i quali,
inoltre, rilasceranno ticket fiscali graduati in relazione alla caratteristica
merceologica del rifiuto o delle differenziazione realizzata. Un “negozio” che
acquista carta o vetro usati può stare benissimo a fianco di un esercizio
commerciale che vende oggetti di vetro o di carta! Con gli opportuni
accorgimenti tecnici ciò può essere fatto per ogni frazione merceologica, anche
per la parte umida o per quella non riciclabile. Alle imprese che gestiscono
tali “negozi” potrebbe essere assegnata una quota della TAS, in relazione agli
extra costi di smaltimento/riciclo sostenuti dalle stesse e/o incentivare spese
d’investimento. Esse, come una qualsiasi impresa commerciale, potrebbero
organizzarsi in catene orizzontali, prevedere servizi a domicilio, essere
integrate verticalmente ricomprendendo l’intero o parte del ciclo dei rifiuti
(dalla produzione delle merci al riciclo delle materie prime seconde). Il
servizio potrebbe essere liberalizzato entro le limitazioni normative regolanti
la salubrità e la compatibilità delle stesse e, quindi, la titolarità delle
imprese potrebbe essere sia pubblica che privata. Tale organizzazione riguarderebbe
anche la chiusura del ciclo dei rifiuti. In tal caso, in termini naturali ed in
applicazione delle norme antimonopolistiche e antitrust, verrebbe meno la
necessità di realizzare impianti di dimensioni incompatibili con la tenuta
sociale delle popolazioni ed ambientale dei singoli territori.
Questa proposta si
potrebbe inserire nel dibattito in corso sulla revisione dell’imposizione sugli
immobili e rappresentare un tassello del più complessivo riordino del
federalismo fiscale. Contemporaneamente potrebbe rappresentare una nuova strada
per la riflessione sulla gestione e sullo smaltimento dei rifiuti che superi
l’esigenza della costruzione e localizzazione di mega impianti incompatibili
con le sensibilità sociali delle comunità locali.