9 febbraio 2014

Una Regione Metropolitana

Editoriale di Bruno Manzi, Presidente di Legautonomie Lazio. 

Ho trovato interessante l’articolo del prof. Giovanni Caudo pubblicato lo scorso 7 gennaio su “La Repubblica” con il quale ha riproposto l'urgenza di affrontare la questione dello status della Capitale, sia nel  rapporto con lo Stato e con il "suo" territorio.

L'assessore, per la soluzione del problema, ci propone due alternative: l'istituzione della Regione di Roma Capitale che comprenda il territorio di questa più quello della "sua" area metropolitana; l'istituzione dell'area metropolitana di Roma Capitale (che non viene definita "Città metropolitana" come nel ddl Delrio) il cui rapporto diretto con lo Stato e la sua specialità siano definite attraverso una specifica "legge sulla Capitale".

Il professor Caudo argomenta la sua proposta facendo esplicito riferimento alle problematiche tradizionalmente più rilevanti nella governo delle grandi aree metropolitane: "i rifiuti, i trasporti, l'urbanistica, le scuole, le politiche sociali, ecc ... non c'è quasi nessun ambito della vita quotidiana dei romani che oggi non soffra della mancanza di una adeguata definizione della governance istituzionale della capitale e del riconoscimento della sua ampiezza territoriale”. Ci sia permesso di osservare che il tema posto è di grande attualità e rilevanza non solo per i "romani" ma lo è per tutti i cittadini del Lazio e, parimenti, ci sia consentito di avanzare alcune osservazioni alle proposte poste sul tavolo. In termini di dimensione territoriale entrambe le opzioni fanno riferimento non solo a Roma Capitale ma alla più ampia area metropolitana, il che, per forza di cose, deve ricomprendere anche altri comuni. Le proposte che si sono susseguite nel tempo, da quando questo dibattito è in corso (almeno dai primi anni '90 del secolo scorso), sono state le più varie ed eterogenee. Da chi ha pensato di far coincidere l’area metropolitana con l'intero territorio dell'attuale Provincia di Roma, fino a chi avrebbe preferito limitarla al solo Comune di Roma, passando per una miriade di proposte intermedie.

Per quanto mi riguarda ho più volte manifestato la sensazione che la dimensione delle dinamiche sociali ed economiche di Roma e che le soluzioni ai problemi derivanti dalle stesse certamente travalichino i confini comunali ma, in tantissimi casi, anche quelli provinciali. Così è per i flussi migratori di centinaia di migliaia di nuclei familiari da Roma verso il suo esterno, con i connessi problemi di qualità dei servizi sociali e sanitari per le giovani coppie e per la terza età, e delle imprese, con la conseguente carenza di infrastrutture che ne inficia la competitività; così è per la tragica condizione dei pendolari per motivi di lavoro, di studio e di organizzazione del tempo libero, con le più generali ricadute negative sulla mobilità pubblica e privata; così è per la qualità ambientale, cui si legano i temi della gestione del ciclo dei rifiuti e di quello dell'acqua, oltre che del complesso sistema delle aree protette. Potrei proseguire a lungo.

Questi sono i fenomeni che definiscono l'ampiezza territoriale della Capitale a cui riservare la nuova governance. Solo una volta compreso ciò la classe dirigente potrà e dovrà necessariamente porsi il tema di cosa accade dentro e fuori questo ambito in termini economici e sociali, e dunque, a come modificare l'attuale organizzazione istituzionale.  Rispetto alle aree non interessate al nuovo sistema di governance la loro attrattività economica sarà uguale, maggiore o minore di quella attuale? Conseguentemente il nuovo assetto aiuterà a superare l'attuale gap di competitività esistente tra l'area romana ed il resto della regione? I cittadini dei comuni interessati al nuovo sistema di governance avranno uguale, maggiore o minore potere di incidere sulle scelte che li riguardano rispetto ad oggi?

Per quanto riguarda la Regione Lazio entrambe le soluzioni ne decretano la totale inutilità. Nel primo caso essa si dovrebbe occupare dei soli territori non ricompresi nel nuovo ente, con una forte spinta centrifuga di questi verso le Regioni confinanti. L'esito finale sarebbe certamente la riduzione dell'attuale Lazio all'attuale Provincia di Roma, con più o meno qualche Comune, e l'annessione di parti del territorio regionale da parte di Toscana, Umbria, Campania. Nel secondo caso gli ambiti di decisione della Regione sarebbero limitati alle sole zone non ricadenti nell'area metropolitana di Roma Capitale, la quale autonomamente disporrebbe delle scelte di programmatiche e delle relative risorse economiche nei settori di maggiore rilevanza strategica. In questa prospettiva continuo a ritenere che la soluzione più adeguata per Roma e per il Lazio sia quella di prendere atto che la dimensione metropolitana della Capitale sia la sua Regione. Penso, dunque, che bisogna organizzare la dimensione d'area vasta dei territori esterni a Roma Capitale secondo una dimensione adeguata (quattro o due macroaree) tale da equilibrare il peso specifico dei singoli territori e di questi con quello della Capitale. Ciò permetterà di rafforzare il ruolo della Regione come punto di equilibrio e di sintesi delle aspettative e delle esigenze dell'intera comunità regionale.