dell'Avvocato Fabrizio Vomero.
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 6177 del 20 dicembre 2013, ha precisato il contenuto dell’obbligo di astensione gravante sugli amministratori locali ai sensi dell’art. 78 del D. Lgs. n. 267 del 2000.
Il secondo comma del citato art. 78 prevede che gli amministratori debbano astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere concernenti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado. Tale obbligo non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, come ad esempio i piani urbanistici, a meno che non vi sia una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell’amministratore o di suoi congiunti.
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 6177 del 20 dicembre 2013, ha precisato il contenuto dell’obbligo di astensione gravante sugli amministratori locali ai sensi dell’art. 78 del D. Lgs. n. 267 del 2000.
Il secondo comma del citato art. 78 prevede che gli amministratori debbano astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere concernenti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado. Tale obbligo non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, come ad esempio i piani urbanistici, a meno che non vi sia una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell’amministratore o di suoi congiunti.
Il
successivo comma aggiunge che i membri della Giunta comunale che abbiano competenza
in materia di urbanistica, di edilizia e di lavori pubblici hanno il dovere di
astenersi dall’esercitare attività professionale in materia di edilizia privata
e pubblica nel territorio da essi amministrato.
La
giurisprudenza, come rammentato dalla sentenza in commento, ha spiegato che
l’obbligo di astensione sussiste in tutte quelle situazioni in cui, anche a
livello meramente potenziale, si prospetti una compromissione
dell’imparzialità. Di conseguenza, sono ininfluenti il mancato raggiungimento,
in concreto, dello scopo illecitamente perseguito dall’amministratore,
l’assenza di pregiudizio per l’ente pubblico ed anche la dimostrazione che il
provvedimento sarebbe stato adottato ugualmente anche senza il voto espresso in
conflitto di interessi (c.d. “prova di resistenza” del voto). In altri termini,
ciò che conta è, unicamente, la sussistenza di un dovere di astensione non
rispettato dal pubblico funzionario, senza che sia possibile dimostrare, per
salvaguardare la legittimità dell’atto compiuto, che la condotta scorretta (rectius il voto “interessato”) si sia
rivelata irrilevante.
Il
Consiglio di Stato ha evidenziato che l’obbligo di astensione può sorgere anche
in presenza di una precedente attività professionale ormai conclusa: è il caso
del progettista che, pur dopo l’esaurimento del proprio rapporto contrattuale
con l’Amministrazione, potrebbe comunque conservare un interesse all’effettiva realizzazione
dell’opera progettata (per il fatto, ad esempio, di poter godere di un certo
ritorno pubblicitario o di arricchire il proprio curriculum o ancora, semplicemente, per avere la soddisfazione
personale di vedere l’opera conclusa). L’obbligo di astensione, quindi, è
caratterizzato da un’ultrattività rispetto all’ultimazione del rapporto
contrattuale a monte.
Per
ciò che concerne i membri della Giunta comunale competenti in materia di
urbanistica, di edilizia e di lavori pubblici, alla previsione generale del
dovere di astensione di cui al secondo comma dell’art. 78 del Testo Unico degli
Enti Locali, si aggiunge il divieto di esercitare attività professionale in
materia di edilizia privata e pubblica nel territorio dell’ente: si tratta di
un’estensione della regola generale dovuta alla particolare “sensibilità” agli
interessi privati del ruolo svolto dagli amministratori che curano gli aspetti
più delicati del governo del territorio.