dell'Avvocato Fabrizio Vomero.
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 467 del 31 gennaio 2014, ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla responsabilità precontrattuale della P.A., con particolare riferimento alla fattispecie in cui l’Amministrazione decida di non procedere all’aggiudicazione definitiva di un appalto.
In via generale, incorre in una responsabilità precontrattuale il soggetto che, coinvolto in una trattativa o, comunque, durante la formazione di un contratto, non tenga una condotta conforme ai principi di buona fede. Alla base di tale peculiare forma di responsabilità, vi è il precetto di correttezza sancito dall’art. 1337 cod. civ. e ritenuto applicabile anche alla Pubblica Amministrazione. La buona fede deve essere intesa in senso oggettivo e non soggettivo o psicologico, sicché si può incorrere in una responsabilità precontrattuale anche a causa di una condotta non intenzionalmente ingannevole ma meramente colposa.
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 467 del 31 gennaio 2014, ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla responsabilità precontrattuale della P.A., con particolare riferimento alla fattispecie in cui l’Amministrazione decida di non procedere all’aggiudicazione definitiva di un appalto.
In via generale, incorre in una responsabilità precontrattuale il soggetto che, coinvolto in una trattativa o, comunque, durante la formazione di un contratto, non tenga una condotta conforme ai principi di buona fede. Alla base di tale peculiare forma di responsabilità, vi è il precetto di correttezza sancito dall’art. 1337 cod. civ. e ritenuto applicabile anche alla Pubblica Amministrazione. La buona fede deve essere intesa in senso oggettivo e non soggettivo o psicologico, sicché si può incorrere in una responsabilità precontrattuale anche a causa di una condotta non intenzionalmente ingannevole ma meramente colposa.
Nel
caso posto all’attenzione dei giudici di Palazzo Spada, un’azienda ospedaliera
aveva deciso di non aggiudicare in via definitiva il servizio di fornitura e
sterilizzazione di strumentazioni chirurgiche, adducendo, quale motivazione, la
totale mancanza di liquidità, nonché l’antieconomicità e non sostenibilità
finanziaria dell’operazione alla luce dei vincoli economici imposti dal piano
di rientro dal disavanzo del settore sanitario della Regione Campania.
Tuttavia, circa due anni dopo (nei quali era stato prorogato il rapporto precedente),
il medesimo ente aveva bandito una nuova gara per l’affidamento dell’identico
servizio.
A
seguito di ricorso della concorrente dichiarata aggiudicataria in via provvisoria
all’esito della prima procedura, il Tar Campania
aveva annullato gli atti relativi alla seconda gara, e aveva condannato
l’azienda ospedaliera al risarcimento del danno, nella misura delle spese
inutilmente sostenute per la partecipazione alla gara, detratto il guadagno
ottenuto dalla ricorrente per la proroga del servizio.
Il
Consiglio di Stato, chiamato in causa a seguito di impugnazione principale
dell’ente ospedaliero ed incidentale della concorrente (la quale lamentava il
mancato accoglimento della domanda di annullamento del diniego di
aggiudicazione definitiva e quella, connessa, di accertamento del diritto alla
stipula del contratto), ha sostanzialmente confermato la sentenza di primo
grado.
Innanzitutto, il Collegio ha ribadito che le Amministrazioni
non sono obbligate a procedere all’aggiudicazione definitiva di una gara
d’appalto e che, conseguentemente, l’aggiudicatario provvisorio non ha un diritto
alla stipulazione del contratto.
Nondimeno, l’aggiudicatario
provvisorio si trova in una posizione differenziata rispetto agli altri
concorrenti, godendo di un’aspettativa
tutelata a che l’aggiudicazione provvisoria divenga definitiva.
Una simile posizione soggettiva implica
esclusivamente che l’aggiudicazione definitiva possa essere negata soltanto in presenza di una
deliberazione legittima, nella forma e nella sostanza. In tal senso,
l’aggiudicatario provvisorio è legittimato ad agire in giudizio per far valere
gli eventuali vizi del provvedimento.
Nella fattispecie esaminata dal
Consiglio di Stato, il provvedimento di diniego dell’aggiudicazione definitiva
risultava adeguatamente motivato; del resto, va anche detto che la possibilità
di sindacare un atto così caratterizzato da profili di discrezionalità
amministrativa è circoscritta a vizi specifici quali la manifesta illogicità,
il travisamento di fatto, ecc.
Malgrado ciò, la legittimità del
diniego dell’aggiudicazione definitiva e, quindi, della stipulazione del
contratto, non esclude che vi sia stata una violazione dei doveri di buona fede
precontrattuale di cui agli artt. 1337 e 1338 cod. civ.
E, in effetti, il Tar
Campania aveva evidenziato che l’Azienda ospedaliera, essendo a conoscenza o
quanto meno in condizione di conoscere, già prima della pubblicazione del
bando, la situazione di criticità economica, che ha in seguito reso legittimo
il recesso dalla procedura, avrebbe dovuto prudentemente rinunciare all’indizione
della gara, così risparmiando ai concorrenti le spese necessarie per la
presentazione delle offerte. La stessa considerazione è stata condivisa dal
Consiglio di Stato, il quale ha notato come il dissesto finanziario della
Regione Campania non fosse affatto dovuto ad una calamità imprevedibile.
Il
danno risarcibile nelle ipotesi di responsabilità precontrattuale non
ricomprende il lucro cessante (o interesse positivo) dato dal profitto che il
contraente offeso avrebbe conseguito in caso di felice conclusione delle
trattative, ma si limita al solo “interesse negativo”. Con tale espressione si
fa riferimento alle spese inutilmente sostenute dalla parte e all’eventuale
perdita di ulteriori occasioni contrattuali.
Applicando
questi criteri al caso in esame, il Consiglio di Stato, d’accordo con i giudici
di prima istanza, ha ritenuto che il danno patito dall’aggiudicataria
provvisoria fosse limitato ai costi della partecipazione
alla procedura, detratto il guadagno percepito a causa della prorogatio dell’appalto precedente (la
concorrente risultava anche titolare del precedente rapporto scaduto). Detto
altrimenti, i giudici amministrativi hanno applicato il noto principio della compensatio
lucri cum damno.