3 gennaio 2015

L'associazionismo obbligatorio è fallito, il rinvio di un anno non va cancellato.


di Francesco Chiucchiurlotto, Vice Presidente Anci Lazio. 

Il cd Milleproroghe, (angolo o corner del campo di calcio da cui la palla viene rimessa in gioco dopo esserne uscita) rinvierà di un anno, dalla sua conversione in legge, la normativa che dal DL n°78/2010 prescrive ai Comuni sino a 5000 abitanti alcuni obblighi associativi. E’ chiaro ai più che tale normativa rappresenti il peggio del centralismo e del dirigismo statuale e che sulla base di alcuni errati presupposti, peraltro incostituzionali, hanno fatto perdere tempo e risorse all’intero sistema ordinamentale degli enti locali.  Abbiamo quindi un anno, dieci mesi per la precisione, per trovare il bandolo della matassa e affermare alcuni principi dai quali potranno discendere soluzioni tecniche praticabili e soprattutto utili ed efficaci. 
Il primo principio è quello dell’autonomia municipale: l’equiordinazione delle componenti della Repubblica, Stato, Regioni, Città Metropolitane e Comuni (dando per scontato che si riesca a cancellare dal testo dell’art.114, le Province) pone quest’ultimi come interlocutori paritari con una potestà statutaria e regolamentare che non può essere invasa impunemente e spesso da norme regionali e talvolta statali, come oggi avviene. 

Il portato epocale della Legge n°56/14 Del Rio, sta nell’aver unificato nel solo livello comunale le istituzioni comprese tra Regioni e Comuni, eliminando Province, Comunità Montane e Consorzi di funzioni. In un quadro così semplificato è veramente opportuno aggiungere un ulteriore ente, dotato di personalità giuridica e di potestà statutaria e regolamentare, quale l’Unione di Comuni? E’ opportuno, invece di normare il rapporto organizzatorio e funzionale tra Regioni e Comuni ai fini di un ridisegno di funzioni e servizi comunali e d’area vasta ed a rete, cambiare nome e governance alle Comunità Montane trasformandole in Unioni di Comuni Montani ed imporre l’associazionismo obbligatorio ai Comuni sino a 5000 abitanti?

E’ opportuno al fine dichiarato di conseguire risparmi di gestione coinvolgere la natura politico programmatica dei Comuni attraverso il ruolo dei Sindaci, peraltro a gratis e non investire del tema gestionale chi ne è preposto, cioè la dirigenza?

Proviamo a rispondere:

Un quadro ordinamentale composto da Stato, Regioni, Comuni ha il pregio della semplicità e della chiarezza delle attribuzioni; afferma il “chi fa che cosa” senza doppioni di attribuzione nè confusione di ruoli: l’ente Regione restituisce la funzione amministrativa ai Comuni, per intero e con i soli limiti costituzionali. (soltanto questo porterebbe risparmi di qualche miliardo di euro); organizza i Comuni per livelli di competenza e interloquisce di programmazione con le Province.

Quindi occorre una normativa statale secca ed essenziale e la Del Rio così com’è è un buon inizio, laddove indica la strada delle aree omogenee come aggregati intermedi e quella delle Regioni nelle attribuzioni alle province.

La Del Rio è fortemente innovativa perché ha operato quello che la 78/10 ha vanamente tentato di fare in termini di obbligatorietà: ha associato i Comuni, tutti, in un ente o in un livello istituzionale (vedremo) chiamato Provincia; sono tutti lì, insieme in attesa che si adottino politiche di semplificazione, razionalizzazione, programmazione, risparmio, surroga, coordinamento ecc.

Come si fa a non vedere che c’è una occasione irripetibile di buon governo del territorio a portata di mano, che chiede un legislatore regionale illuminato e capace, che ponga mano allo snellimento, graduale e guidato, delle Regioni (veri mostri gestionali ed idrovore finanziarie) con una devoluzione programmata verso tutti i Comuni.

I Comuni a loro volta sono chiamati ad un ammodernamento necessario e ad un associazionismo volontario graduato ed attagliato sul tipo di funzioni e servizi in campo: non le dieci funzioni tout court ma convenzioni, unioni, consorzi di servizi in un primo livello di competenza; aree omogenee, sulla base territoriale degli attuali Distretti Sociosanitari in un secondo livello di competenza;  province o quel che saranno dopo la riforma del titolo V della Costituzione, in un terzo livello di competenza di funzioni e servizi ma stavolta anche di rappresentanza politica ed interlocuzione  con l’ente Regione.

In questo schema tutti i Comuni sono coinvolti e non soltanto quelli sino a 5000 abitanti, con effetti positivi di sinergia e coordinamento; la rappresentanza politica essenziale nel rapporto del territorio con la Regione, diviene semplificata sino alla sintesi provinciale e soprattutto univoca nel livello comunale; lo strumento legislativo regionale potrà effettuare interventi di dettaglio, scendendo nella concretezza del territorio piuttosto che nell’astrazione della dottrina, come purtroppo è avvenuto sinora con i guasti sin troppo evidenti.

Ad esempio: se una Comunità Montana non ha mai funzionato, se storicamente ha registrato solo instabilità e perdite d’esercizio, perché deve trasformarsi in Unione di Comuni Montani? C’è qualcosa di miracoloso e di taumaturgico nel modello Unione?

Se in una Unione di Comuni Montani ci sono Enti Riserva o Parchi naturalistici, non è l’occasione di unificarne la gestione? Il servizio idrico integrato, o altri servizi a rete e d’area vasta, sono dentro un ambito naturale, quello provinciale e quindi se ne occupi la nuova provincia, oppure dobbiamo creare il doppione degli Ambiti Territoriali Ottimali di funesta memoria?


In sintesi dobbiamo invertire la rotta fidando nell’autonomia degli enti locali e nel principio di sussidiarietà che resta un caposaldo normativo europeo, attuale e opportuno, e soprattutto con la consapevolezza che si avvia un processo democratico di trasformazione di media e lunga durata, che deve essere più pragmatico che dirigista, più empirico che dottrinario, più vicino ai cittadini, protagonisti e solo destinatari di tale nuova stagione.