dell' avvocato Fabrizio Vomero.
La lunga serie di provvedimenti normativi che, prima a livello statale, e poi in sede regionale e comunale, ha imposto ed attuato regimi di spending review si scontra sovente con procedimenti ed atti amministrativi pregressi produttivi di spese pubbliche.
Ci si riferisce, in particolare, alle gare bandite per opere e servizi non più compatibili con i nuovi più severi standard di rigore economico-finanziario: può, in tal modo, accadere che determinate procedure di appalto risultino non più attuali, tanto da indurre le Amministrazioni ad adottare provvedimenti di “ripensamento”, previo riesame delle condizioni che avevano giustificato la pubblicazione del bando. Ma cosa accade nell’ipotesi in cui la procedura sia andata avanti sino all’aggiudicazione definitiva dell’appalto? Entro quali limiti le innovazioni legislative possono travolgere gli interessi giuridicamente rilevanti, ed in primis, l’affidamento degli aggiudicatari? La questione è stata affrontata dalla recente decisione del Consiglio di Stato n. 2019 del 21 aprile 2015, che ha deciso l’impugnazione della sentenza del Tar Calabria, Sezione di Reggio Calabria, n. 713/2013. La vicenda esaminata concerneva la procedura di gara relativa alla realizzazione di un edificio da adibire a sede del Comitato Regionale per le Comunicazioni (Co.Re.Com.) della Calabria. In seguito alla risoluzione della Regione di revocare la procedura e tutti i provvedimenti conseguenti, giacché ritenuti incompatibili con l’esigenza di ridurre i costi della politica e con i principi di cui alDecreto Legge n. 95 del 2012, alle leggi regionali ed alle delibere consiliari attuative, la Società aggiudicataria era ricorsa al Tar Calabria.
La lunga serie di provvedimenti normativi che, prima a livello statale, e poi in sede regionale e comunale, ha imposto ed attuato regimi di spending review si scontra sovente con procedimenti ed atti amministrativi pregressi produttivi di spese pubbliche.
Ci si riferisce, in particolare, alle gare bandite per opere e servizi non più compatibili con i nuovi più severi standard di rigore economico-finanziario: può, in tal modo, accadere che determinate procedure di appalto risultino non più attuali, tanto da indurre le Amministrazioni ad adottare provvedimenti di “ripensamento”, previo riesame delle condizioni che avevano giustificato la pubblicazione del bando. Ma cosa accade nell’ipotesi in cui la procedura sia andata avanti sino all’aggiudicazione definitiva dell’appalto? Entro quali limiti le innovazioni legislative possono travolgere gli interessi giuridicamente rilevanti, ed in primis, l’affidamento degli aggiudicatari? La questione è stata affrontata dalla recente decisione del Consiglio di Stato n. 2019 del 21 aprile 2015, che ha deciso l’impugnazione della sentenza del Tar Calabria, Sezione di Reggio Calabria, n. 713/2013. La vicenda esaminata concerneva la procedura di gara relativa alla realizzazione di un edificio da adibire a sede del Comitato Regionale per le Comunicazioni (Co.Re.Com.) della Calabria. In seguito alla risoluzione della Regione di revocare la procedura e tutti i provvedimenti conseguenti, giacché ritenuti incompatibili con l’esigenza di ridurre i costi della politica e con i principi di cui alDecreto Legge n. 95 del 2012, alle leggi regionali ed alle delibere consiliari attuative, la Società aggiudicataria era ricorsa al Tar Calabria.
Il
Tribunale Amministrativo aveva accolto le richieste dell’impresa, annullando i
provvedimenti impugnati, in quantoreputati generici e privi dell’adeguato
approfondimento degli interessi pubblici.
La
Regione Calabria ha, dunque, chiesto al Consiglio di Stato la riforma della
sentenza di primo grado, sostenendo che il Tar
avrebbe errato nel presumere sussistente l’affidamento dell’impresa
aggiudicataria e, soprattutto, nell’omettere di riconoscere la preminenza dell’interesse
della collettività di evitare la lievitazione dei costi dei
lavori pubblici.
I Giudici
di Palazzo Spada hanno dato ragione all’Amministrazione regionale, notando come
i provvedimenti impugnati, complessivamente considerati, esplicitassero
adeguatamente le motivazioni della decisione di non dare seguito alla procedura
di appalto.
Ne
consegue che deve ritenersi legittima la revoca di un’aggiudicazione definitiva
motivata, come nel caso in questione, attraverso il richiamo alle norme del rammentato
D.L. n. 95/2012 (“Disposizioni urgenti
per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”,
convertito dalla legge n. 135/2012), ed agli altri provvedimenti normativi ed
amministrativi chehanno stabilito la soppressione o il ridimensionamento di
organi politici.
Il
Consiglio di Stato non ha dato rilievo al ragionamento dell’impresa appellata,
secondo cui la realizzazione dell’edificio avrebbe in ogni caso, anche
successivamente alla riduzione della macchina politica regionale, soddisfatto
l’interesse pubblico di risparmiare sugli affitti passivi pagati
dall’Amministrazione per ospitare talune articolazioni burocratiche (le quali
avrebbero potuto, così, essere trasferite nella nuova sede): ciò perché deve
ritenersi che, di fronte all’argomento decisivo (esposto nella motivazione
degli atti) rappresentato dall’esigenza di frenare i costi della politica, non
è necessario replicare ad ogni singola doglianza dei soggetti
controinteressati, tanto più quando si sia in presenza di scelte discrezionali,
insindacabili se non davanti adevidenti profili di sviamento e di illogicità.
Neppure
è stato ritenuto che l’impresa appellata potesse vantare un legittimo
affidamento per il fatto di essere stata proclamata aggiudicataria definitiva.
Nella
fattispecie, era, infatti, accaduto che un separato giudizio amministrativo di
impugnazione degli atti di gara da parte di altri concorrenti, pur conclusosi
con il rigetto dei ricorsi, aveva evidenziato (come attestato nel testo della
relativa sentenza)la verosimile possibilità della ricorrenza di una indebita
alterazionedella par condicio a vantaggio proprio della
società aggiudicataria.
Ebbene,
sulla scorta di ciò, quest’ultima impresa, poiché inevitabilmente a conoscenza
della non linearità dello svolgimento della gara,e dunque non in buona fede, non
poteva vantare alcun affidamento.
Secondo
il Consiglio di Stato, inoltre, perché si possa parlare di affidamento
qualificato, è indispensabile che «la
P.A. abbia indotto nel privato la ragionevole consapevolezza che gli atti posti
in essere comportino vantaggi, anche a seguito del lungo tempo trascorso dalla
loro adozione senza l’intervento di atti di autotutela».
È,
perciò, necessaria la ricorrenza di tre elementi costitutivi: un primo di
natura soggettiva, consistente nella ragionevole convinzione del privato di
avere«titolo all’utilità ottenuta»;
un secondo oggettivo, datodalla chiarezza, certezza ed univocità del vantaggio
del privato, che deve scaturire da un comportamento attivo
dell’Amministrazione; ed infine un elemento soggettivo, rappresentato dal
passaggio del tempo che corrobora la convinzione della spettanza del bene della
vita conseguito (cfr. Cons. Stato,
3 agosto 2012, n. 4440).
La
decisione in commento ha, per l’appunto, sottolineato come la società appellata
non vantasse alcun ragionevole affidamento, dal momento che non poteva non
conoscere (in quanto esposta in un atto di indirizzo pubblicato sul Bollettino
Ufficiale regionale) l’intenzione dei vertici regionali di riesaminarel’opportunità
della gara in vista di un’eventuale revoca.
Peraltro,
anche quando si fosse reputato che l’aggiudicataria godesse effettivamente di
un apprezzabile affidamento, tale situazione giuridica soggettiva non avrebbe
comunque potuto prevalere rispetto all’interesse pubblico, sotteso al provvedimento
di revoca in autotutela, di contenere la spesa.
Secondo
la giurisprudenza, poi, il potere di revoca, come disciplinato dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, può
essereesercitato dall’Amministrazione anche nei confronti di atti di
aggiudicazione, purché il provvedimento di autotutela sia adeguatamente
motivato, giustificato da un preciso e concreto interesse pubblico e successivo
al cambiamento della situazione di fatto (Cons.
Stato, 11 luglio 2012, n. 4116).
In
definitiva, devono considerarsi legittimi provvedimenti revocatori di atti amministrativi
fondati sull’esigenzadi risparmiaresulla spesa pubblica a causa di una crisi
economica o del cambiamento dellasituazione finanziaria dell’ente (Cons. Stato, 26 settembre 2013, n. 4809;
id.,
29 dicembre 2014 n. 6406).