3 gennaio 2015

Regioni per l'Europa di oggi e l'Italia di domani

Editoriale di Bruno Manzi, Presidente Legautonomie Lazio. 

Il 10 marzo 2015 la Camera dei Deputati ha approvato il Ddl Costituzionale recante "Superamento del bicameralismo paritario e revisione del titolo V della parte II della Costituzione". Dopo il primo esame da parte del Senato, in prima lettura, il testo licenziato dalla Camera dei Deputati dovrebbe essere quello che,
a conclusione dell'iter previsto dall'articolo 138 della Costituzione, approderà al giudizio degli elettori attraverso il referendum confermativo preannunciato dal Presidente del Consiglio. 

Il principale elemento caratterizzante l’intervento di riforma riguarda il superamento del bicameralismo perfetto. La Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica avranno funzioni in gran parte differenti. Alla prima spetterà la titolarità del rapporto fiduciario e della funzione di indirizzo politico, nonché il controllo dell’operato del Governo, il secondo diviene organo ad elezione indiretta e sede di rappresentanza delle istituzioni territoriali. Rispetto ai 315 senatori elettivi previsti dalla Costituzione vigente, sarà composto di 95 senatori, eletti tra i consiglieri regionali ed i sindaci del territorio, a cui si aggiungono 5 senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica per 7 anni nonché gli ex Presidenti della Repubblica.  Al fine di adeguare il procedimento legislativo al nuovo assetto costituzionale caratterizzato da un bicameralismo differenziato, viene previsto un numero definito di leggi ad approvazione bicamerale.

Inoltre modifiche rilevanti riguardano il titolo V della parte II della Costituzione. In particolare, di rilievo appare la soppressione delle Province. Al contempo, il riparto di competenza legislativa tra Stato e regioni è ampiamente rivisitato: viene soppressa la competenza concorrente, con una redistribuzione delle relative materie tra competenza esclusiva statale e competenza regionale. L’elenco delle materie di competenza esclusiva statale è inoltre profondamente modificato, con l’enucleazione di nuovi ambiti materiali. Di significativa rilevanza è infine l’introduzione di una “clausola di supremazia”, che consente alla legge dello Stato, su proposta del Governo, di intervenire in materie di competenza regionale a tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica o dell’interesse nazionale.

Il disegno di riforma, quindi, da un lato apporta profonde modifiche al disegno originario realizzato dai Padri costituenti, dall'altro corregge la riforma approvata nel 2001. Per il mondo delle Autonomie locali si tratta di un'ulteriore "scossa di assestamento" che impegnerà gli Amministratori regionali e locali nel prossimo futuro.

Sempre più prende forma il disegno di governance del sistema italiano nell'ambito europeo ai fini ammodernare il nostro sistema istituzionale ed economico. Con la riforma viene riconfermata la funzione legislativa oltre che in capo all'Unione europea allo Stato e alle Regioni, con questi due non in una relazione gerarchica ma paritetica nei confronti della prima al fine di valorizzare le specificità territoriali. Ci si pone, inoltre, l'obiettivo di rafforzare i sistemi territoriali locali al fine di renderli adeguati a supportare lo Stato nazionale nelle sfide economiche nell'ambito dell'Unione e nel contesto mondiale.

In questo contesto il sistema ipotizzato dal legislatore nazionale vede il protagonismo ai fini della competitività economia oltre che dello Stato delle Regioni e delle Città metropolitane ha bisogno di essere completato. Le Regioni, in particolare quelle a statuto ordinario, ipotizzate dalla Costituzione del '48 avevano come riferimento l'orizzonte nazionale ed una relativa dimensione economica, oggi esse non sono più adeguate all'attuale contesto istituzionale dell'Unione europea, né alla prevista presenza di forti soggetti istituzionali ed economici quali le Città metropolitane, se attuate nella prospettiva del superamento degli attuali Comuni capoluogo.
Contestualmente all'azione di attuazione della riforma avviata con la legge Delrio, che porterà alla effettiva costituzione delle Città metropolitane ed alla riorganizzazione delle Aree vaste in un rapporto dialettico (conflittuale?) con le Regioni, azione che subirà un'accelerazione con l'entrata in vigore del nuovo dettato costituzionale è necessario avviare una compiuta riflessione su una nuova geografia regionale, che veda la rideterminazione dei confini regionali in considerazione degli attuali e dei futuri scenari economici.

Una nuova geografia che da un lato possa essere adeguata alla presenza delle Città metropolitane, che bilanci il peso di queste con quello del resto del territorio regionale al fine di superare situazioni di marginalità o peggio di degrado. Una geografia che nel definire l'ampiezza delle nuove entità regionali, sia in termini territoriali che demografici, sia in grado di renderle competitive a livello europeo. Una dimensione tale da rendere inadeguato se non impossibile per essere attività di gestione amministrativa, se non per quelle parti strettamente connesse con la dimensione regionale superando l'attuale tendenza al neocentralismo, funzioni amministrative sempre più di esclusiva competenza delle Città metropolitane e dei Comuni chiamati a gestirle in forma associata sempre più attraverso gli Enti di Area vasta (le nuove Province). Regioni che, oltre la funzione legislativa, svolgano, sempre più, funzioni di programmazione economica ed infrastrutturale. Un dimensionamento regionale, da un lato in grado di competere con tutte le aree regionali presenti nell'Unione europea e cha dall'altro lato abbia la necessità della dimensione nazionale per competere con le economie più avanzate dell'Unione e del resto del mondo. In questa prospettiva, ferme restando le Regioni a statuto speciale, si potrebbe ipotizzare la seguente nuova geografia regionale (fig. 1):

Regione del Nord Ovest ricomprendente il Piemonte e la Liguria con le Città metropolitane di Torino e Genova

Regione del Nord Est ricomprendente la Lombardia e il Veneto con le Città metropolitane di Milano e Venezia

Regione del Centro nord ricomprendente la Toscana, Emilia Romagna e la Provincia di Pesaro Urbino con le Città metropolitane di Bologna e Firenze

Regione del Centro ricomprendente le Marche, senza la Provincia di Pesaro e Urbino, l'Umbria, il Lazio, l'Abruzzo ed il Molise con la Città metropolitana di Roma

Regione del Sud ricomprendente la Campania, la Puglia, la Basilicata e la Calabria con le Città metropolitane di Napoli, Bari e Reggio Calabria

Regioni che in termini di popolazione e di Prodotto interno lordo sarebbero tutte tra le prime venti regioni dell'Unione. Che potrebbero programmare adeguatamente: le reti infrastrutturali relative alla mobilità (stradale, ferroviaria, aeroportuale e portuale); le reti dei servizi materiali ed immateriali (energia, dati, ambiente); le polarità economiche (manifatturiero, servizi innovativi, agricoltura di qualità, turismo); i fondi europei (le risorse del Fondo convergenza gestito per la quasi totalità dalla Regione del Sud, escluse le risorse assegnate alla Sicilia, e quindi con una possibilità di visione all'altezza della sfida del rilancio del mezzogiorno. Quindi regioni capaci di dotarsi di una effettiva visione sul proprio ruolo nell'Italia e nell'Europa del domani.
In alternativa è possibile ipotizzare anche la seguente ripartizione (Fig. 2):

Regione del Nord Ovest (riconfermata la precedente ipotesi)

Lombardia con la Città metropolitana di Milano

Regione del Nord Est ricomprendente il Veneto e l'Emilia Romagna con le Città metropolitane di Venezia e Bologna

Regione del Centro ricomprendente la Toscana, le Marche, l'Umbria e le Province di Viterbo e Rieti con la Città metropolitana di Firenze

Roma Capitale

Regione del Centro Sud ricomprendente la Campania,l'Abruzzo, il Molise e le Province di Frosinone e Latina con la Città metropolitana di Napoli

Regione del Sud ricomprendente la Puglia, la Basilicata e la Calabria con i poli metropolitani di Bari e Reggio Calabria

Anche per questa ipotesi valgono, in larga massima, le considerazioni di cui alla precedente ad eccezione della gestione dei fondi convergenza. Saremo, come amministratori all'altezza delle sfide che siamo chiamati ad affrontare? Ed il governo avrà il coraggio di fare un ulteriore passo nella direzione dell'innovazione istituzionale necessaria per rendere il nostro paese competitivo e moderno?