Editoriale di Bruno Manzi, Presidente Legautonomie Lazio.
Il 10 marzo 2015 la Camera dei Deputati ha approvato il Ddl Costituzionale recante "Superamento del bicameralismo paritario e revisione del titolo V della parte II della Costituzione". Dopo il primo esame da parte del Senato, in prima lettura, il testo licenziato dalla Camera dei Deputati dovrebbe essere quello che,
a conclusione dell'iter previsto dall'articolo 138 della Costituzione, approderà al giudizio degli elettori attraverso il referendum confermativo preannunciato dal Presidente del Consiglio.
Il principale elemento caratterizzante l’intervento di riforma riguarda il superamento del bicameralismo perfetto. La Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica avranno funzioni in gran parte differenti. Alla prima spetterà la titolarità del rapporto fiduciario e della funzione di indirizzo politico, nonché il controllo dell’operato del Governo, il secondo diviene organo ad elezione indiretta e sede di rappresentanza delle istituzioni territoriali. Rispetto ai 315 senatori elettivi previsti dalla Costituzione vigente, sarà composto di 95 senatori, eletti tra i consiglieri regionali ed i sindaci del territorio, a cui si aggiungono 5 senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica per 7 anni nonché gli ex Presidenti della Repubblica. Al fine di adeguare il procedimento legislativo al nuovo assetto costituzionale caratterizzato da un bicameralismo differenziato, viene previsto un numero definito di leggi ad approvazione bicamerale.
Il 10 marzo 2015 la Camera dei Deputati ha approvato il Ddl Costituzionale recante "Superamento del bicameralismo paritario e revisione del titolo V della parte II della Costituzione". Dopo il primo esame da parte del Senato, in prima lettura, il testo licenziato dalla Camera dei Deputati dovrebbe essere quello che,
a conclusione dell'iter previsto dall'articolo 138 della Costituzione, approderà al giudizio degli elettori attraverso il referendum confermativo preannunciato dal Presidente del Consiglio.
Il principale elemento caratterizzante l’intervento di riforma riguarda il superamento del bicameralismo perfetto. La Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica avranno funzioni in gran parte differenti. Alla prima spetterà la titolarità del rapporto fiduciario e della funzione di indirizzo politico, nonché il controllo dell’operato del Governo, il secondo diviene organo ad elezione indiretta e sede di rappresentanza delle istituzioni territoriali. Rispetto ai 315 senatori elettivi previsti dalla Costituzione vigente, sarà composto di 95 senatori, eletti tra i consiglieri regionali ed i sindaci del territorio, a cui si aggiungono 5 senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica per 7 anni nonché gli ex Presidenti della Repubblica. Al fine di adeguare il procedimento legislativo al nuovo assetto costituzionale caratterizzato da un bicameralismo differenziato, viene previsto un numero definito di leggi ad approvazione bicamerale.
Inoltre
modifiche rilevanti riguardano il titolo V della parte II della Costituzione.
In particolare, di rilievo appare la soppressione delle Province. Al contempo,
il riparto di competenza legislativa tra Stato e regioni è ampiamente rivisitato:
viene soppressa la competenza concorrente, con una redistribuzione delle
relative materie tra competenza esclusiva statale e competenza regionale.
L’elenco delle materie di competenza esclusiva statale è inoltre profondamente
modificato, con l’enucleazione di nuovi ambiti materiali. Di significativa
rilevanza è infine l’introduzione di una “clausola di supremazia”, che consente
alla legge dello Stato, su proposta del Governo, di intervenire in materie di
competenza regionale a tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica
o dell’interesse nazionale.
Il
disegno di riforma, quindi, da un lato apporta profonde modifiche al disegno
originario realizzato dai Padri costituenti, dall'altro corregge la riforma
approvata nel 2001. Per
il mondo delle Autonomie locali si tratta di un'ulteriore "scossa di
assestamento" che impegnerà gli Amministratori regionali e locali nel
prossimo futuro.
Sempre
più prende forma il disegno di governance del sistema italiano nell'ambito
europeo ai fini ammodernare il nostro sistema istituzionale ed economico. Con
la riforma viene riconfermata la funzione legislativa oltre che in capo
all'Unione europea allo Stato e alle Regioni, con questi due non in una
relazione gerarchica ma paritetica nei confronti della prima al fine di
valorizzare le specificità territoriali. Ci si pone, inoltre, l'obiettivo di
rafforzare i sistemi territoriali locali al fine di renderli adeguati a
supportare lo Stato nazionale nelle sfide economiche nell'ambito dell'Unione e
nel contesto mondiale.
In questo contesto il sistema ipotizzato dal
legislatore nazionale vede il protagonismo ai fini della competitività economia
oltre che dello Stato delle Regioni e delle Città metropolitane ha bisogno di
essere completato. Le Regioni, in particolare quelle a statuto ordinario,
ipotizzate dalla Costituzione del '48 avevano come
riferimento l'orizzonte nazionale ed una relativa dimensione economica, oggi
esse non sono più adeguate all'attuale contesto istituzionale dell'Unione
europea, né alla prevista presenza di forti soggetti istituzionali ed economici
quali le Città metropolitane, se attuate nella prospettiva del superamento
degli attuali Comuni capoluogo.
Contestualmente
all'azione di attuazione della riforma avviata con la legge Delrio, che porterà
alla effettiva costituzione delle Città metropolitane ed alla riorganizzazione
delle Aree vaste in un rapporto dialettico (conflittuale?) con le Regioni,
azione che subirà un'accelerazione con l'entrata in vigore del nuovo dettato
costituzionale è necessario avviare una compiuta riflessione su una nuova
geografia regionale, che veda la rideterminazione dei confini regionali in
considerazione degli attuali e dei futuri scenari economici.
Una
nuova geografia che da un lato possa essere adeguata alla presenza delle Città
metropolitane, che bilanci il peso di queste con quello del resto del
territorio regionale al fine di superare situazioni di marginalità o peggio di
degrado. Una geografia che nel definire l'ampiezza delle nuove entità regionali,
sia in termini territoriali che demografici, sia in grado di renderle
competitive a livello europeo. Una dimensione tale da rendere inadeguato se non
impossibile per essere attività di gestione amministrativa, se non per quelle
parti strettamente connesse con la dimensione regionale superando l'attuale
tendenza al neocentralismo, funzioni amministrative sempre più di esclusiva
competenza delle Città metropolitane e dei Comuni chiamati a gestirle in forma associata
sempre più attraverso gli Enti di Area vasta (le nuove Province). Regioni che,
oltre la funzione legislativa, svolgano, sempre più, funzioni di programmazione
economica ed infrastrutturale. Un
dimensionamento regionale, da un lato in grado di competere con tutte le aree
regionali presenti nell'Unione europea e cha dall'altro lato abbia la necessità
della dimensione nazionale per competere con le economie più avanzate
dell'Unione e del resto del mondo. In questa
prospettiva, ferme restando le Regioni a statuto speciale, si potrebbe
ipotizzare la seguente nuova geografia regionale (fig. 1):
Regione del Nord Ovest ricomprendente il Piemonte e la Liguria con le Città
metropolitane di Torino e Genova
Regione del Nord Est ricomprendente la Lombardia e il
Veneto con le Città metropolitane di Milano e Venezia
Regione del Centro nord ricomprendente la Toscana, Emilia
Romagna e la Provincia di Pesaro Urbino con le Città metropolitane di Bologna e
Firenze
Regione del Centro ricomprendente le Marche, senza
la Provincia di Pesaro e Urbino, l'Umbria, il Lazio, l'Abruzzo ed il Molise con
la Città metropolitana di Roma
Regione del Sud ricomprendente la Campania, la Puglia,
la Basilicata e la Calabria con le Città metropolitane di Napoli, Bari e Reggio
Calabria
Regioni
che in termini di popolazione e di Prodotto interno lordo sarebbero tutte tra
le prime venti regioni dell'Unione. Che potrebbero programmare adeguatamente:
le reti infrastrutturali relative alla mobilità (stradale, ferroviaria,
aeroportuale e portuale); le reti dei servizi materiali ed immateriali
(energia, dati, ambiente); le polarità economiche (manifatturiero, servizi
innovativi, agricoltura di qualità, turismo); i fondi europei (le risorse del
Fondo convergenza gestito per la quasi totalità dalla Regione del Sud, escluse
le risorse assegnate alla Sicilia, e quindi con una possibilità di visione
all'altezza della sfida del rilancio del mezzogiorno. Quindi regioni capaci di
dotarsi di una effettiva visione sul
proprio ruolo nell'Italia e nell'Europa del domani.
In alternativa è
possibile ipotizzare anche la seguente ripartizione (Fig. 2):
Regione del Nord Ovest (riconfermata la precedente ipotesi)
Lombardia con la Città metropolitana di
Milano
Regione del Nord Est ricomprendente il Veneto e
l'Emilia Romagna con le Città metropolitane di Venezia e Bologna
Regione del Centro ricomprendente la Toscana, le
Marche, l'Umbria e le Province di Viterbo e Rieti con la Città metropolitana di
Firenze
Roma Capitale
Regione del Centro Sud ricomprendente la Campania,l'Abruzzo,
il Molise e le Province di Frosinone e Latina con la Città metropolitana di Napoli
Regione del Sud ricomprendente la Puglia, la
Basilicata e la Calabria con i poli metropolitani di Bari e Reggio Calabria
Anche
per questa ipotesi valgono, in larga massima, le considerazioni di cui alla
precedente ad eccezione della gestione dei fondi convergenza. Saremo,
come amministratori all'altezza delle sfide che siamo chiamati ad affrontare?
Ed il governo avrà il coraggio di fare un ulteriore passo nella direzione
dell'innovazione istituzionale necessaria per rendere il nostro paese
competitivo e moderno?