di Daniela Di Rocco
Il Tar Puglia, Lecce, con la sentenza n. 430 del 3.3.2016 si è espresso
sul nuovo termine di diciotto mesi per l’esercizio del potere dell’annullamento
d’ufficio quale criterio interpretativo per una fattispecie cui la norma, come
da ultimo modificata, non è applicabile.
Nel caso di specie, a distanza di più di dieci anni dal rilascio dell’autorizzazione per
l’esercizio di una attività agrituristica, il Comune disponeva l’annullamento
d’ufficio del provvedimento autorizzatorio, per difformità numerica dei posti
letto autorizzati rispetto alla capacità ricettiva dell’esercizio.
Il Collegio,
con la sentenza sopra richiamata, ha accolto il ricorso proposto dal
titolare della società, richiamando l’art. 21-nonies della Legge n.
241/1990, nella formulazione vigente all’epoca della determinazione impugnata,
che così disponeva: “1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai
sensi dell’ articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo
21-octies, comma 2, può essere
annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un
termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo
previsto dalla legge”.
Sulla norma
sopra trascritta, come noto, è poi intervenuta la Legge n. 124/2016 (nota come Legge
Madia), con l’introduzione del limite massimo di diciotto mesi per l’esercizio
del potere di annullamento.
Infatti, l’art.
6, comma 1, lettera d), num. 1) della predetta Legge apportava all’art. 21-nonies le seguenti modificazioni: “al
comma 1, dopo le parole: “entro un termine ragionevole” sono inserite le
seguenti: “, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione
dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici […]”;
Con la Legge n. 124/2015, fermi restando, quindi, i presupposti
legittimanti l’esercizio del potere di annullamento, ossia l’illegittimità del
provvedimento ai sensi dell’art. 21-octies, e la sussistenza di un interesse
concreto e attuale alla rimozione dello stesso, è stato introdotto il limite
temporale “comunque non superiore a
diciotto mesi dal momento dell'adozione”, entro il quale potrà intervenire
l’annullamento d’ufficio “dei
provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione
di vantaggi economici”, anche nel caso in cui tali
provvedimenti si siano formati mediante il meccanismo del silenzio assenso.
Prima di tale modifica legislativa, le amministrazioni pubbliche potevano
esercitare l’annullamento in autotutela “entro
un termine ragionevole”, da quantificare di volta in volta in relazione
alla natura del provvedimento da rimuovere, agli interessi pubblici coinvolti,
alle posizioni giuridiche degli interessati e dei controinteressati, nonché in
rapporto agli effetti che medio
tempore sono prodotti dallo stesso.
In materia la giurisprudenza aveva più volte chiarito che, sebbene il
decorso del tempo imponesse alla Pubblica Amministrazione una valutazione
comparativa più forte degli interessi in gioco ed il rispetto del termine
ragionevole, la legge sul procedimento non poneva alcun limite temporale rigido
all’esercizio del potere di ritiro.
Sulla base di tali considerazioni, la giurisprudenza stessa escludeva
che, in assenza di un termine espresso, il decorso di un apprezzabile arco di
tempo avesse potuto costituire di per se un limite all’esercizio
dell’autotutela.
A seguito delle recenti modifiche apportate all’art. 21-nonies, il suddetto limite temporale è divenuto espresso, atteso che
l’annullamento d’ufficio dovrà intervenire entro un termine “comunque non superiore a diciotto mesi dal
momento dell'adozione dei provvedimenti”.
Ne consegue che, qualora l’annullamento d’ufficio intervenga oltre
il termine massimo diciotto mesi, lo stesso provvedimento di ritiro potrà essere
censurato dinanzi al Giudice Amministrativo per violazione di legge.
Tornando al caso de
quo, i Giudici, con la pronuncia sopra richiamata, hanno rilevato che la
novella, nella sua attuale formulazione, non è ratione temporis applicabile
all’atto impugnato, tuttavia hanno ritenuto che il previsto sbarramento
temporale all’esercizio del potere di autotutela sia comunque rilevante “ai
fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti”.
Nel caso in
esame, il lungo lasso di tempo trascorso dai provvedimenti autorizzatori e la
natura economico-imprenditoriale dell’attività esercitata dalla ricorrente
depongono per l’applicazione del principio dell’affidamento, il quale appunto,
in questa materia, “tutela la certezza e la stabilità dei rapporti
giuridici, ammettendo la rimozione di una situazione di vantaggio, attribuita
ad un privato da un atto amministrativo specifico, soltanto al ricorrere di
determinate condizioni: fra queste ultime, rientra un intervallo di tempo tale
da non ingenerare nel privato la convinzione circa la stabilità del rapporto” (Cons.
Stato, sez. IV, 16.4.2015, n. 1953).
Si rammenta,
infine, come la rimozione dell’atto debba rispondere “a un interesse
pubblico non solo attuale e concreto ma anche prevalente rispetto ad altri
interessi a favore della sua conservazione e, tra questi, in particolare,
rispetto all’interesse del privato che ha riposto affidamento nella legittimità
e stabilità dell’atto medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia
consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco temporale” (T.A.R.
Calabria Catanzaro, sez. II, 8.4.2015, n. 609).
In
conclusione, se da un lato, con la
modifica legislativa da ultimo intervenuta in materia, il potere di
annullamento in autotutela è stato circoscritto ad un arco temporale piuttosto
ristretto, dall’altro è evidente che il legislatore abbia voluto garantire una
maggiore tutela all’affidamento dei destinatari di provvedimenti autorizzatori
o di attribuzione di vantaggi economici.