di
Alessandra De Santis
Con un solo
articolo e 151 commi si cerca di ridisegnare la governance locale. Un solo
articolo che sembra essere dettato dai motivi che lo hanno partorito: spendig review
La legge n.56 del 7 aprile 2014 (legge Delrio), che ha
l’ambizione di ridisegnare confini e
competenze dell'amministrazione locale senza modificare il Titolo V della
Costituzione, detta: “disposizioni
in materia di
città metropolitane, province,
unioni e
fusioni di comuni
al fine di adeguare
il loro ordinamento
ai principi di sussidiarietà, differenziazione e
adeguatezza”
Per quanto riguarda le fusioni e le
unioni comunali, il comma 4 della
suddetta legge stabilisce che: Le unioni
di comuni sono enti locali costituiti da
due o piu' comuni per l'esercizio associato
di funzioni o
servizi di loro competenza; le unioni e le fusioni di
comuni sono disciplinate
dai commi da 104 a 141. Modificando di conseguenza il testo unico
degli enti locali che riguarda la disciplina delle forme associate dei comuni.
Non è la
prima volta che il legislatore interviene sulla materia che riguarda le forme
associate dei comuni è una lunga storia di norme, direttive, obblighi e
narrazione di principi. L’intervento è rivolto soprattutto ai piccoli Comuni
con popolazione fino a 5000 abitanti che
sono il 70,3% del totale dei Comuni italiani e il 54% del territorio
nazionale ed è dettato dalla necessità di creare maggiore efficienza del
sistema locale, cercando di ridurne i costi per poter erogare e garantire gli
stessi servizi ai cittadini.
La prima legge, la legge 142/1990,
puntava ad una soluzione organica, disciplinando le unioni come strumenti
associativi, finalizzati alla creazione delle fusioni comunali, prevedendo
questo approdo obbligatoriamente dopo non più di dieci anni, pena lo
scioglimento dell’unione stessa.
Questa riforma ‘organica’, come
tante in Italia, non ebbe successo, tanto che nel 1999 il legislatore è dovuto
intervenire ancora con la legge 265/1999, recepita poi dal TUEL, in cui si
dividono i due strumenti di riordino territoriale. Le unioni diventano enti di
secondo grado “a tempo indeterminato” senza necessariamente evolversi in
fusioni e possono essere costituite anche da comuni con popolazione maggiore di
10.000 abitanti.
Le fusioni comunali invece rimangono
rivolti ai così detti “comuni polvere”, quelli cioè di piccolissime dimensioni
(spesso quelli montani) per superare i disagi relativi all’incapacità di poter
garantire i servizi pubblici necessari alla cittadinanza.
Questa nuova legge segnò un grande
salto in avanti del processo di unioni comunali, spesso incentivati
economicamente. Le unioni comunali
passarono da 17 a 316 nel 2010, le fusioni si fermarono a sole 8 realtà.
L’insuccesso del
processo di fusioni comunali e il conseguente mancato contributo alla razionalizzazione territoriale e alla
riduzione della spesa, tanto più nel periodo di forte crisi economico-finanziaria che ha investito
il nostro Paese negli ultimi anni, ha riportato
il legislatore all’originario obiettivo della legge del 1990: incentivare cioè
le fusioni comunali, passando questa volta dall’obbligatorietà di associare,
mediante unioni comunali o convenzioni, le funzioni fondamentali dei comuni con
popolazione fino a 5.000 abitanti (3.000 se montani)
Il nuovo corso
comincia a delinearsi con la legge si stabilità del 2010 (decreto legge
31maggio 2010, n. 78, convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122) e poi
continua con i decreti del 2011(decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito
in legge 15 luglio 2011, n. 111 e decreto legge 13 agosto 2011, n. 138,
convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148) e con il decreto legge n.95 del
6 luglio 2012 , (convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, sulla c.d. spending
review che nel suo articolo 20 disciplina nuovi incentivi per i processi di
fusione. Incentivi che arrivano anche dalle leggi regionali)
Si arriva così al 2014 e alla legge Delrio sopra
citata, che ri-disciplina le norme che riguardano le forme associate dei comuni, ma elimina anche
l’ente Provincia modificando anche le sue competenze. La Provincia diventa un
ente di secondo livello, il cui presidente è eletto dai sindaci e consiglieri
comunali dei comuni che rientrano in quella provincia.
La legge Delrio conferma le due tipologie di
unione, quella che consente di associare le funzioni che rispondono alle
esigenze dei comuni, ma anche l’obbligatorietà di associare le funzioni
fondamentali, spostando il termine per adeguarsi, al 31 dicembre 2014 e prevede
diverse agevolazioni per spingere i comuni a scegliere la forma associativa
della fusione, cercando di tutelare la specificità dei comuni che si fondono.
Questa legge ha lo stesso obbiettivo della legge del 1990, cioè quella di
apportare una significativa semplificazione alla gestione intercomunale dei
vari servizi e settori. Vedendo in questo obiettivo la soluzione che attraverso
una economia di scala, derivante dalla condivisione di strutture e
infrastrutture, si possano erogare servizi di qualità e garantire maggiore
efficienza a tutti i livelli.
Tanto più oggi con il processo avviato della
digitalizzazione della pa, l’esigenza di avere strutture in grado di dare ai
cittadini le risposte degne di un paese moderno che enti troppo piccoli non
riuscirebbero a gestire (dalla garanzia di trasparenza, alla gestione dell’Open
Data, alla digitalizzazione dei sistemi informativi e documentali, alla
conservazione digitale dei documenti) in un momento in cui l’economia richiede
maggiori sforzi sul risparmio di risorse economiche.
L’ambiziosa
riforma Delrio però mette in crisi l’intero sistema della governance locale,
che non può che partire dai Comuni. A ridefinire la governance, non può essere
l’obbligatorietà che la legge detta ai comuni affinché associno servizi
fondamentali ma una buona politica del territorio, tanto più in questo momento
in cui c’è un riassetto complessivo delle Province.
In
questa riforma è mancato in realtà il riferimento al principio a cui si ispira
la nostra politica ormai da un quarto di secolo a questa parte, il principio di
sussidiarietà, togliendo il gradino delle province, si è aperto un mare, dove
ognuno naviga con la propria zattera e anche le esperienze importanti di unioni
e di associazioni comunali, rischiano di essere tentati di aggrapparsi alla
zattera che gli gira intorno, senza assicurarsi del peso che questa può
sostenere. Si sta sviluppando un ‘anarchia di convenzioni” tra comuni che
partoriscono territori virtuali senza nessuna programmazione omogenea e senza
visione comune del futuro e in questo mare, la tentazione del Governo nazionale
di riaccentrare i poteri è molto forte e a volte giustificata ed inevitabile. In
questa storia, che parte dai “comuni polvere” c’è una
politica “polverizzata” che non è più in grado di tenere insieme il Paese e
l’Europa e che governa attraverso la sola logica di spending review. Attraverso
la storia delle leggi sulle forme associate dei comuni, registriamo il successo
nel decennio che va dal 1999 al 2010, perché le amministrazioni locali erano e
si sentivano parte di un progetto complessivo di sviluppo del Paese e si
muovevano attraverso il principio di sussidiarietà che governava l’Europa. Solo
dando dignità e autorevolezza ai territori potremo ricominciare nel nostro
percorso di razionalizzazione e di sviluppo dei territori stessi, e questa
dignità la possiamo recuperare nei luoghi di incontro e di analisi,
nell’associazione degli enti locali e nel dialogo tra le istituzioni.