È stata approvata dalla Camera la mozione di maggioranza sulla
missione in Libia: l’invio di navi della Marina militare italiana a supporto
della Guardia Costiera libica al fine di contribuire al contrasto dei mercanti
di esseri umani e di governare i flussi migratori. I voti favorevoli sono stati
328, quelli contrari 113 e 22 gli astenuti.
Rappresenta una “priorità il percorso di stabilizzazione della
Libia”, spiegano in una relazione congiunta i componenti delle Commissioni Affari
Esteri e Comunitari e Difesa e, pertanto, il supporto alle forze libiche nel
lavoro di controllo e contrasto dell’immigrazione illegale e del traffico di
esseri umani in partenza dalla Libia. Ma l’aspetto probabilmente più
emblematico della questione è racchiuso nelle parole pronunciate dal Ministro
dell’Interno, Marco Minniti, nel corso di un’informativa alla Camera dello
scorso 5 luglio: «il 94% delle persone salvate vengono dalla Libia, ma non c’è
un libico, lì va affrontato il problema».
Subito dopo il via libera all’intervento da parte della Camera è
arrivata la dichiarazione del Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni,
intervenuto dal Comando Operativo Interforze dove si è recato nel pomeriggio:
«Non è una missione aggressiva» ha spiegato il Premier «ma una missione
di sostegno alla fragile sovranità di quel Pese e delle autorità libiche».
Ma quale sarà esattamente il
ruolo dell’Italia in Libia?
Il deputato PD
Vincenzo D’Arienzo, componente della Commissione Difesa alla Camera,
spiega a ‘Orientamenti Amministrativi’ che dal 1° agosto al 31 dicembre 2017 l'Italia parteciperà ad una
missione di supporto alla Guardia costiera libica nel contrasto all’illecito
traffico di esseri umani che quotidianamente partono da quelle coste.
«La missione» precisa D’Arienzo «è stata richiesta dal Governo di accordo nazionale libico. Una svolta avvenuta in un contesto di assoluta fiducia reciproca, una fiducia che viene da lontano e che il Governo di accordo nazionale ci riserva per il comportamento che il nostro Paese ha tenuto in questi anni. Inoltre, la decisione di sostegno italiano è in linea con le due risoluzioni ONU sulla Libia: una chiede agli Stati membri di rispondere urgentemente alle richieste di assistenza del Governo di accordo nazionale; l'altra chiede agli Stati membri di assistere il Governo libico nel contrasto al traffico dei migranti.
La missione prevede anche
una evoluzione interforze con compiti di training advise and assist alle forze
di difesa libiche?
«È prevista una serie di compiti aggiuntivi
rispetto a quelli già previsti dal dispositivo aeronavale nazionale “Mare
sicuro”, presente nell'area del Mediterraneo centrale per garantirne la
sorveglianza e la sicurezza. Nel dettaglio, il supporto alle forze di
sicurezza libiche è finalizzato alle attività di controllo e contrasto
dell'immigrazione illegale e del traffico di esseri umani e garantirà: la
protezione e la difesa dei mezzi del Consiglio presidenziale - Governo di
accordo nazionale libico (GNA) che operano per il controllo ed il contrasto
dell'immigrazione illegale, distaccando, una o più unità assegnate al
dispositivo per operare nelle acque territoriali e interne della Libia
controllate dal Consiglio presidenziale - Governo di Accordo Nazionale (GNA) in
supporto a unità navali libiche; la ricognizione in territorio libico per la
determinazione delle attività di supporto da svolgere; la possibilità di
svolgere attività di collegamento e consulenza a favore della Marina e Guardia
costiera libica e la collaborazione per la costituzione di un centro operativo
marittimo in territorio libico per la sorveglianza, la cooperazione marittima e
il coordinamento delle attività congiunte. Inoltre, potranno essere svolte
attività per il ripristino dell'efficienza degli assetti terrestri, navali e aerei,
comprese le relative infrastrutture, funzionali al supporto per il contrasto
dell'immigrazione illegale. Quindi, in questa fase non ci saranno evoluzioni
sulla terraferma, il sostegno si limita alle attività in mare dentro le acque
territoriali e dentro i porti libici».
Onorevole, crede che possano
esserci ripercussioni o minacce alla sicurezza dell’Italia in seguito a questa
decisione?
«Innanzitutto, la richiesta di supporto offre due certezze: sgombra
il campo dalle visioni strumentali prospettate a seguito dell’incontro parigino
tra Al Serraj ed il Gen. Haftar e riconosce all’Italia un ruolo primario nella
vicenda libica, frutto della fiducia che quel Paese ripone nel nostro.
Vede, nel contemperare gli interessi in gioco,
ivi compresa la necessità di garantire la sicurezza degli italiani, va detto
che la stabilità della Libia è interesse nazionale, e non solo per la questione
migranti. Avere a pochi metri uno Stato fallito pone condizioni nuove e
pericolose nell’intera area del mediterraneo a noi confinante.
Inoltre, ogni nostra azione ha sempre rispettato la sovranità
nazionale libica, le loro richieste, le decisioni della comunità
internazionale, i rapporti con i partner regionali dell’area nord africana e
quelli con i Paesi di origine o di transito dei migranti. Questo per dire che
dal punto di vista politico abbiamo sottratto ogni elemento che potesse
alimentare un’avversione nei nostri confronti».
Potrebbero
esserci i presupposti per concludere con il governo libico un accordo simile a
quello concluso dall’Europa nel marzo 2016 con il governo turco sulla gestione
dei migranti?
«La Libia attualmente ha una struttura
nazionale che non consente un approccio univoco come fatto con la Turchia. La
frammentazione esistente e la difficoltà di trovare un’intesa tra i tanti
attori in campo non fanno presupporre uno scenario analogo. E, pur tuttavia, il
nostro sforzo deve andare in quella direzione, per sconfiggere quel turpe
traffico, favorire la riconciliazione nazionale e la crescita economica e sociale.
Mi permetto un’ultima battuta: sono state dette tante cose, alcune più accattivanti, di immediato impatto emotivo,
ma assolutamente incapaci di definire il quadro, perché guardano ad altri
obiettivi, spesso quelli di avversare il Governo Gentiloni, e non gli elementi
a disposizione in un ambito in cui la collaborazione con altri è importante è
decisiva.
Se ci fossimo comportati in maniera diversa, la
Libia ci avrebbe mai chiesto di portare le nostre navi militari nei loro porti?
Non credo. Ecco, se avessimo seguito la propaganda interna, questo sarebbe
stato l'epilogo».