Di Maria Enrica Rubino
Sindaco,
come ha vissuto da primo cittadino la notizia della chiusura del CARA di
Castelnuovo di Porto? Qual è stata la sua prima reazione?
«La notizia della chiusura del Cara non ci è mai
arrivata ufficialmente. Il mio primo pensiero è stato: non con questo metodo.
Ero consapevole che il CARA andasse superato, ma con l’implementazione di altre
strutture. Non abbiamo accettato il fatto che la Prefettura abbia messo in atto
questo sgombero in poche ore senza sentire l’ente locale, che in questa situazione
è stato inascoltato. Se l’ente locale fosse stato ascoltato e ci fosse stata
una programmazione di comune accordo, non saremmo arrivati a questi risultati e
avremmo trovato le collocazioni con più tranquillità. Anche relativamente ai
120 lavoratori, avremmo pensato ad ipotesi di ricollocamento in altre
strutture. Se le ricollocazioni dei richiedenti asilo fossero state concordate,
molti dei ragazzi che lavoravano nella cooperativa si sarebbero potuti spostare
in altre cooperative della stessa provincia di Roma o nel Lazio, mentre in
questo modo sono stati penalizzati perché costretti a cambiare regione di residenza».
Ha
avuto modo di sentire alcuni dei migranti che erano ospitati al CARA?
«Sì, ieri siamo andati a prenderli al CAS di Rocca
di Papa, abbiamo pranzato insieme e posso annunciare che a breve torneranno nel
comune di Castelnuovo di Porto»
Riuscirà
a farli rientrare a Castelnuovo di Porto?
«Stiamo definendo i dettagli burocratici con la
Prefettura per far rientrare 17 di loro a Castelnuovo. Si tratta di un CAS
diffuso in prima accoglienza: per quanto riguarda i ragazzi è prevista la
coabitazione presso famiglie, mentre coppie con figli avranno appartamenti
indipendenti e potremo garantire ai bambini che andavano a scuola a Castelnuovo
di proseguire gli studi lì. Rientreranno a Castelnuovo il giocatore di
calcio, il sacrestano, il ragazzo che si occupava del progetto di decoro
urbano, il fotografo che aveva partecipato a ‘Castelnuovo fotografie’... E
abbiamo un piano di protezione umanitaria che mettiamo a disposizione di tutti
i sindaci del territorio della regione Lazio»
Quali
servizi sono previsti con questo tipo di accoglienza?
«Con il CAS diffuso in prima accoglienza, garantiremo
tutti i servizi previsti dalla prima accoglienza e, in più, con il supporto
della Regione Lazio avvieremo un programma mirato all’integrazione e all’inclusione»
L’idea
potrebbe diventare un modello di assistenza mutuato da altri Comuni?
«Perché no, me lo auguro. In questo modo andremmo ad
eliminare queste mega strutture e migliorare la sicurezza urbana. In più,
inserendoli in un percorso di integrazione si abbassano i livelli minimi di
sicurezza e si cerca di diminuire la percezione del diverso, della paura»
Quali
sono state le reazioni dei cittadini in questi ultimi giorni?
«Si sono create due fazioni: contrari e favorevoli.
Ma credo che sia fondamentale il dialogo costante con tutti i cittadini, anche
con incontri pubblici e dibattiti. Ieri abbiamo fatto un convegno sul Decreto
Sicurezza, occasione in cui sono stati elencati dati statistici da cui emerge
che non c’è alcuna emergenza immigrazione»
Come
definisce il Decreto Sicurezza?
«Credo che si tratti di un grande inganno, che causa
insicurezza tra i cittadini e, purtroppo, va ad alimentare il sentimento di
odio. Dati alla mano, nel nostro Paese non c’è emergenza, né invasione da parte
di immigrati»
E
riguardo lo stravolgimento del sistema SPRAR?
«Gli SPRAR sono sistemi che funzionano e vanno incentivati in
quanto già collaudati. Dovremmo lavorare molto di più sulla prima accoglienza a
cui deve seguire subito il livello successivo con gli SPRAR. Quindi i Comuni
devono dotarsi sia di prima accoglienza sia di SPRAR, in modo tale che una
volta ottenuto lo status le persone che sono stanziate in quel Comune possano
passare direttamente al sistema SPRAR»
Vista
la sua esperienza con l’episodio del CARA, cosa consiglierebbe ai sindaci?
«Beh, si prevedono sempre più allontanamenti dei
titolari di protezione umanitaria dai centri, perciò è bene che i sindaci siano
messi al corrente e abbiano a disposizione un piano per far fronte non più a
una situazione di emergenza, ma ad un’ipotesi più strutturata».